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Riconosci qualche quadro nella collezione portentosa del cardinale Valenti Gonzaga?




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Promotore delle arti e della cultura, intellettuale, bibliofilo, collezionista straordinario, il cardinale Silvio Valenti Gonzaga fu punto di riferimento e animatore imprescindibile in campo culturale nella Roma del Settecento. Mantovano di nascita, appartenente a una delle più cospicue famiglie del luogo – alla quale spettava il titolo marchionale -, imparentato con i Guerrieri Gonzaga, il prelato si trovò a ricoprire il prestigiosissimo incarico di Segretario di Stato e di Camerlengo di Benedetto XIV, il Lambertini.
Come dire che il mantovano, nella gerarchia romana, occupava il posto di vicario del papa e di primo ministro. La storia dell’arte lo ricorda come impareggiabile collezionista, giacché egli stesso commissionò a Giovanni Paolo Pannini, straordinario pittore di architetture con figura e di ‘capricci’, la rappresentazione della propria potestà attraverso la realizzazione di alcuni dipinti che raffiguravano il cardinale stesso, il pittore e la sua corte, in una galleria romana nella quale vengono riportate centinaia delle ottocento opere che componevano la collezione. Furono quelli quadri manifesto, icone fondamentali nell’ambito della rappresentazione del collezionismo onnivoro settecentesco.
“Il quadro manifesto di questa collezione e del lavoro intellettuale di Valenti Gonzaga – scrivevano i curatori  di un’importante mostra mantovana, dedicata al cardinale – pensato e costruito a ‘tavolino’ dal committente e dal suo pittore, in bilico tra finzione e realtà – con architetture di totale invenzione, ma con una scelta ponderata delle opere e dei personaggi da documentare ai posteri – diventa il cuore di un’esposizione che, sulla scorta dei più recenti studi e delle ricerche di questi anni, permette di riunire per la prima volta alcuni dei dipinti ritratti nel ‘capriccio’ di Pannini, oltre ad una quarantina d’opere significative delle collezione, ai lavori preparatori del quadro, ai ritratti dei protagonisti, ai documenti d’archivio che descrivono la galleria”.
L’evento mantovano, curato da Raffaella Morselli e da Rossella Vodret, aveva riunito- come non era mai stato possibile -, il dipinto finito del Pannini (1749) proveniente dal Musèe des Beaux Arts di Marsiglia, ed una copia successiva – conservata presso la Casita del Principe all’Escorial di Madrid – realizzata da Pannini nel 1761 dopo la morte del Cardinale su richiesta di un conoscitore ed estimatore della collezione Valenti Gonzaga, cui ancora si cerca di dare un nome. L’indagine è stata molto impegnativa e appassionante per le curatrici della mostra, che avevano già affrontato il tema della collezione dispersa, con la ricostruzione della Celeste Galeria dei Gonzaga, mostra di straordinario successo che aveva portato a Mantova quadri perduti da secoli. A partire dal dipinto di Pannini, le curatrici hanno lavorato all’identificazione e al recupero delle opere raffigurate. Impresa certamente non facile, considerato il fatto che le tele, dopo la morte del cardinale – avvenuta nel 1756 – furono disperse dagli eredi e che, in più di due secoli, i quadri hanno coperto lunghe tratte terrestri e marine.
Nello scenografico dipinto di Pannini sono riportate circa 200 delle oltre 800 opere documentate nella collezione alla morte del Cardinale: di queste ne risultano leggibili 144, mentre ne sono state identificate una settantina. Tra i lavori identificati nelle tre versioni – nelle quali alcuni quadri del fondale vengono cambiati – la “Presentazione della Vergine al Tempio” di Pietro Testa, il “Cristo appare alla Maddalena” di Federico Barocci, la “Cacciata dal Paradiso terrestre” di Mola, la “Donna con calice” del Veronese, raffigurata in tutte e tre le versioni. Tra gli altri dipinti, l’“Abbeveratoio”, un olio su rame attribuito al Cerquozzi e la copia della “Maddalena leggente” del Correggio (l’originale è andato perduto) che apre il catalogo del 1756, opera amatissima dal Valenti Gonzaga, tanto da non separarsene mai, nemmeno durante i viaggi.

A - Silvio Valenti Gonzaga B - Giovanni Paolo Pannini C - Pietro Navarro D - Giambattista Mamo E - Luigi Valenti Gonzaga F - Louis Wood G - François Jacquier H - Thomas La Seur I - Giuseppe Ruggero Boscovich
A – Silvio Valenti Gonzaga
B – Giovanni Paolo Pannini
C – Pietro Navarro
D – Giambattista Mamo
E – Luigi Valenti Gonzaga
F – Louis Wood
G – François Jacquier
H – Thomas La Seur
I – Giuseppe Ruggero Boscovich

I personaggi che appaiono nel dipinto di Pannini Al centro del dipinto appare il cardinale Silvio Valenti Gonzaga, in abito rosso. Accanto a lui, il pittore Pannini, mentre tra i due emerge il pittore di Casa Valenti Gonzaga, Pietro Navarro. Sul lato sinistro si riconoscono alcuni sacerdoti ed un relatore: probabilmente i padri Jacquier – titolare della cattedra di fisica sperimentale all’Università di Roma – e Boscovich, che per il Cardinale aveva scritto un libello in cui illustrava il funzionamento del telescopio circolare e a cui aveva affidato la rilevazione topografica di Roma. Il relatore è di difficile identificazione, mentre si può proporre di accostare al nobiluomo vestito all’inglese con livrea rossa e parrucca, il fisico Louis Wood, al quale il Cardinale aveva chiesto di mettere insieme una raccolta di strumenti scientifici da sistemare nella villa di Porta Pia. Il gruppo di persone che sta esaminando la pianta di un edificio alla sinistra del quadro sta probabilmente controllando il progetto per la erigenda villa di Valenti Gonzaga, nel casino nuovo, la cui costruzione cade proprio nel 1749, anno in cui il Pannini esegue il quadro. Al centro del dipinto alla base della colonna di sinistra dell’Arco di Trionfo, si trova un altro gruppo composto da un uomo che sta leggendo un libro, piegato verso una figura, molto più piccola, nella quale alcuni hanno ritenuto di vedere i tratti di Giambattista Mamo – nano alla corte -. Davanti a lui, Luigi Valenti Gonzaga, orfano di padre, educato dallo zio. Le occupazioni stesse dei personaggi ritratti – tutti impegnati a discutere o a selezionare opere pittoriche e grafiche – ci riporta alla precisa volontà di mettere in risalto l’impresa del collezionista.
Il percorso dei quadri identificati – e che furono collocati in mostra – prosegue con la testa della “Beata Michelina” desunta dal Barrocci e una “Veduta di Ronciglione” di Gaspard van Wittel,. Numerosi anche i dipinti che risultano copie di opere celebri, in virtù di un collezionismo enciclopedico che cercava di individuare i filoni portanti dell’arte europea. Ecco allora la replica della “Madonna dei garofani”, copia cinquecentesca da Raffaello, e quella della “Madonna della seggiola”. Nel 1749, anno in cui venne realizzata la splendida tela della collezione conservata ad Hartford, Giovanni Paolo Pannini viene nominato da Silvio Valenti Gonzaga Cavaliere dell’ordine papale dello Speron d’oro, e il riconoscimento giunge proprio relativamente “alle molte eccellenti opere” eseguite per il cardinale. Il rapporto tra il prelato e il pittore fu particolarmente intenso tra il 1745 e il 1751. “Pannini – affermano gli studiosi – era tra gli ammessi alle conversazioni per i cultori delle tre nobili arti che si tenevano dal Valenti nei giorni festivi; nella collezione del Cardinale risulta vi fossero almeno otto suoi dipinti, ed è presumibile che il progetto della sala circolare in Campidoglio – costruita per ospitare l’Accademia del nudo – fosse affidato a Pannini proprio su indicazione del Cardinale, che peraltro lo volle affiancare ai suoi architetti di fiducia, Paolo Posi e Jacques Philippe Maréchal, anche nella costruzione della propria villa di Porta Pia”.
 
Silvio Valenti Gonzaga, una carriera folgorante da Mantova al potere pontificio
Pierre Subleyras, “Ritratto del Cardinale Silvio Valenti Gonzaga”
Pierre Subleyras, “Ritratto del Cardinale Silvio Valenti Gonzaga”

La vita Silvio, una carriera folgorante da Mantova al potere papale Nato a Mantova nel 1690 nell’ambiente colto e raffinato della famiglia dei marchesi Valenti Gonzaga, Silvio nutre precoci interessi per la teologia, le arti e le scienze. Si trasferisce a Roma e, dopo la laurea in diritto civile e canonico, inizia una folgorante carriera che porta avanti di pari passo allo studio dei monumenti e dell’arte romana. E’ poi diplomatico per la Santa sede in Austria, nei Paesi Bassi e in Spagna. Tornato in Vaticano, diviene segretario di Stato di Benedetto XIV e grande interprete della politica lambertiniana tanto in campo diplomatico quanto in quello culturale. Valorizza il patrimonio antico, imprime sviluppo alla ricerca scientifica nell’ambito di un newtonianesimo finalmente conciliato con la religione. L’interesse per la filosofia naturale si concretizza in una sua ricca raccolta di strumenti scientifici. Il cardinale, che abita al Quirinale, si fa presto costruire una villa a Porta Pia, dove ospita, tra l’altro, un giardino di specie botaniche esotiche. L’edificio, nel quale non risiede, è arredato sontuosamente con carte cinesi di seta costosissime, con l’aggiunta di alcuni meccanismi che avevano stupito Roma intera, come la tabula magica, che scompariva nelle cucine e ritornava in superficie nella sala tonda. Per anni, in qualità di Camerlengo, è punto di riferimento dei diplomatici accreditati. E’ protettore di artisti, di scienziati e di giornali, promotore di cultura. Vittima di due colpi apoplettici, muore il 28 agosto 1756, a 66 anni, a Viterbo, dove si era trasferito per potersi curare. Viene sepolto a Roma nella chiesa di San Bonaventura alla Polveriera.