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Riemergono pavimenti e resti di una villa romana a Salona. Uno splendido pavone nel mosaico


I bellissimi mosaici antichi scoperti recentemente nel centro di Salona – la città dalmata che fu romanizzata nel I secolo a. C. – portano nuove testimonianze sul fitto tessuto antropologico e culturale che lega il nostro Paese all’altra costa dell’Adriatico.

Non solo un’influenza in ambito culturale ma – diremmo – un consistente trasferimento genetico, sulle rive dalmate. Qui, infatti, vennero indotti a immigrare – attraverso promesse di prosperità che furono ampiamente mantenute – cittadini romani, con le famiglie. Il proconsole Gaio Cosconio, in precedenza, aveva combattuto i Delmatae per almeno un paio d’anni (78-76 a.C.) e la guerra era terminata con la presa di Salona, che era divenuta una base permanente in mano ai Romani, tanto che dopo venticinque anni qui vi venne inviata, appunto, una colonia romana.
Sotto l’Impero romano, fu la capitale della regione della Dalmazia: qui nacque l’imperatore romano Diocleziano (regno 284-305) che, nel 305, quando si ritirò a vita privata, si trasferì in un palazzo a pochi chilometri a sud di Salona, ad Aspalathos (Spalato).

La scoperta della villa romana nel centro di Salona – chi volesse leggere l’articolo di cronaca pubblicato sui mass media dalmati, può cliccare qui – è avvenuta durante gli scavi per la realizzazione di un edificio pubblico, da adibire a centro culturale ed è ritenuta – a livello della città – una delle maggiori degli ultimi decenni. In attesa dell’arrivo di dati legati allo scavo, studiosi del luogo discutendo sulla presenza del pavone, figura simbolica che acquistò uno spazio di rilievo, durante la diffusione del Cristianesimo. Secondo alcuni, il pavone potrebbe contribuire ad indicare una datazione all’ultimo periodo dell’Impero.

Il pavone era già presente nella mitologia greca e in quella romana, come un simbolo legato alla rinascita, dopo la morte, soprattutto da collegare dea Giunone/Era, a causa del mito di Argo: il piumaggio della coda del pavone maschio deriverebbe dal gigante Argo Panoptes, un essere dotato di cento occhi. Quando Argo sarebbe morto per causa di Ermes, Era-Giunone avrebbe posto i suoi occhi sulla coda del suo animale sacro per omaggiarne il sacrificio e renderlo eterno. Scrive Ovidio nelle Metamorfosi: Argo, tu giaci disteso; e la luce, che dentro tant’occhi / ti scintillava una volta s’è spenta del tutto! La notte, / unica notte perenne ricopre i tuoi occhi infiniti! / Ma li raccoglie Giunone e li colloca sovra le penne / del suo pavone, a cui empie la coda di gemme stellanti / […] Gli dei del mare acconsentirono. E Giunone risalì nel cielo / limpido sull’agile carro trainato da pavoni screziati, / screziati solo di recente, da quando era morto Argo, / come di recente tu, che prima eri candido, corvo loquace, / ti sei visto tutt’a un tratto mutare le ali in nere // più superba del pavone che si gonfia, più furiosa del fuoco”.

I pavoni sono solitamente raffigurati nell’arte paleocristiana come simbolo di resurrezione e vita eterna. Si credeva che la carne di pavone non si decomponesse anche dopo la morte.