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Parmigianino e il 72, numero di Dio. Pittura, magia e alchimia nel ritratto Sanvitale


Parmigianino, Ritratto di Galeazzo Sanvitale, 1524, olio su tavola, 109x81 cm, Napoli, Museo di Capodimonte
Parmigianino, Ritratto di Galeazzo Sanvitale, 1524, olio su tavola, 109×81 cm, Napoli, Museo di Capodimonte

Nel 1523, uno spirito inquieto come Parmigianino giunge al castello del conte Galeazzo, un edificio elegante, posto a balconata sullo spiazzo al margine del quale sorgono le dimore civili di Fontanellato.
Galeazzo Sanvitale è un giovane dal volto regolare e dallo sguardo limpido. E’ nato agli inizi del 1496 ed ha ereditato dal padre le proprietà, divise poi con il fratello Gianfrancesco. Nel 1516 ha sposato Paola Gonzaga, figlia di Ludovico, marchese di Sabbioneta. E’ proprio in questo palazzo che, pochi mesi prima dell’arrivo dell’artista, è morto – in circostanze misteriose – il figlio della coppia. Ed è al bambino e alle presunte colpe della madre che è dedicata una straordinaria, ermetica stanza affrescata nella quale Paola, nella finzione pittorica, assume gli attributi di Atteone, il cacciatore che s’imbatte malauguratamente in Diana e nelle sue Ninfe, venendo per punizione trasformato in cervo e poi sbranato dai suoi stessi cani.
La disgrazia è avvenuta da qualche mese soltanto, come si diceva, quando Parmigianino giunge nel castello con l’incarico di eseguire l’enigmatico ciclo d’affreschi, e presto il suo lavoro si estende alla realizzazione del ritratto del conte. Galeazzo dimostra una grande attenzione al proprio aspetto: vestito alla francese, seduto su di una savonarola, ha barba e baffi perfettamente curati. La presenza dell’elmo, della corazza e della mazza ferrata sottolineano l’identità di un combattente valoroso. Dal fianco spunta l’elsa della spada decorata con la conchiglia bivalve, simbolo della famiglia. Abbozzando un lieve sorriso, il conte esibisce e tiene stretta, nella mano destra guantata, una medaglia dorata su cui è scritto il numero 72.
Parmigianino, Ritratto di Galeazzo Sanvitale, (particolare) 1524, olio su tavola, 109x81 cm, Napoli, Museo di Capodimonte
Parmigianino, Ritratto di Galeazzo Sanvitale, (particolare) 1524, olio su tavola, 109×81 cm, Napoli, Museo di Capodimonte

Evidentemente siamo di fronte all’appalesamento di un amuleto dal quale l’uomo traeva forza e sicurezza. Il 72, secondo la Cabala, che in quegli anni era assai diffusa anche nella sua versione cristianizzata alla quale tanto lavorò Pico della Mirandola, rappresentava la totalità delle lettere che compongono il nome di Dio. Tale numero viene ricavato da alcuni versetti del capitolo 14 dell’Esodo – 19, 20 e 21 -, ciascuno costituito, nel testo originale ebraico, da 72 lettere. In particolare, il nome sarebbe ricavato dal passo in cui Mosè divide le acque. E’ questo il nome ineffabile del Creatore che mormorava il gran sacerdote tra le urla della folla, e che venne sostituito più tardi dal Tetragramma sacro, YHWH.L’antico cabalista Rav Shimon Bar Yochai ha scritto nello Zohar che fu Mosè, e non Dio, a dividere le acque del Mar Rosso. Mosè una fede incrollabile ad una tecnica spirituale molto efficace. La formula è nota come i 72 nomi di Dio, altrettante sequenze sequenze di lettere ebraiche che hanno il potere straordinario di superare le leggi della natura in tutte le sue forme. La formula era nota solo a una cerchia ristretta di cabalisti.

Nel Rinascimento, le appassionate ricerche magico-religiose occupavano le giornate di letterati e filosofi, i quali tentavano di fondere, in un’armonia utopica, i saperi e le tradizioni, così da trarre vantaggi per l’uomo, nel raccordo tra il mondo, appunto, magico-religioso ed il mondo sublunare, cioè la nostra realtà. Minore è il nostro Ego e maggiore sarà il potere dei 72 appellativi dell’Onnipotente. Perché Galeazzo mostra la medaglia numerata? Egli si rapporta a Dio, ne regge magicamente il nome, propizia su di sé favori e benignità, considerata la drammatica instabilità della vita e l’inquieto gelo emanato dagli strumenti di guerra. (ebc)
 
 
 
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