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Sai cos’è la Street Art? E il writing o graffitismo? Spiegazioni e differenze


Filippo Minelli, uno dei maggiori autori della Street art internazionale, risponde alle domande di Stile arte. Dal graffitismo, evoluzione in chiave grafico di estetica neo-pop delle scritture murali che hanno contrassegnato ogni epoca, alle rappresentazioni miste di figure e lettere, fino all’evolversi di un percorso legato al muralismo.



Cos’è la Street Art? Cosa il graffitismo?
La Street art è nata come evoluzione di quello che veniva comunemente definito “graffitismo”. A un certo punto alcuni writer, persone dotate di una sensibilità particolare, che avevano trovato il loro spazio espressivo nel graffitismo duro e puro (anche con tutto quanto di negativo questo poteva comportare, specie l’azione in un ambito di illegalità), hanno maturato l’esigenza di evolvere il proprio stile di comunicazione, di sostituire il desiderio di puro appagamento estetico con qualcosa di più profondo e meditato.
La Street art dunque nasce come una questione creativa più personale e più ragionata, che, pur avendo sicuramente le sue solide basi in ciò che è stato (e continua ad essere) il graffitismo, sceglie una via di comunicazione diversa, meno legata al fattore puramente estetico, ma finalizzata piuttosto all’espressione di concetti. Proprio come avviene nell’arte contemporanea… E a dire il vero, oggi come oggi esiste una certa confusione: è piuttosto riduttivo infatti cercare di dare una definizione univoca di Street art, viste le numerose declinazioni che esistono al suo interno, legate alle singole personalità.

Il filo conduttore resta il rapporto dialettico con il territorio, con la realtà urbana.
Certamente, l’ambiente, la città sono luoghi portatori di una propria identità, che dialoga con l’intervento dell’artista, in funzione di quelle che sono però le sue specifiche inclinazioni. Dal punto di vista estetico, è ovvio che il graffitismo resta il punto di partenza, con il suo linguaggio visivo impattante, spesso legato ad un’estetica molto “pop”, ovvero semplice e immediata, che però viene elevata con intenti di “disordinazione” culturale, al fine di esprimere contenuti forti.



E qual è la tua inclinazione, all’interno di tale variegato contesto?
A metà degli anni Novanta ho cominciato la mia attività di graffiti writer, e, sin dall’inizio, è stata per me predominante la finalità provocatoria, piuttosto che quella di appagamento estetico, magari in funzione della riqualificazione urbana, che per molti graffitisti (che di fatto sono dei “decoratori”) è centrale: il mio lavoro, invece, si legittima proprio nell’essere distante da ogni intento puramente autocelebrativo.
Io non considero prioritario il problema della città che fa schifo, degli ambienti degradati che possono essere riqualificati; di questi aspetti ho preferito occuparmi a livello professionale con una società che si prefigge proprio di creare un legame tra il Graffiti-Design e il Graffiti-Marketing, e che offre servizi d’immagine e comunicazione non convenzionali, finalizzati alla visibilità mediatica.

Dunque come è avvenuto, nel tuo caso, il passaggio da writer a street artist?
Io desidero non tanto comunicare, quanto suggerire qualcosa. Offrire degli spunti di riflessione. La scelta di intervenire sul tessuto urbano o sull’ambiente non è fatta mai in maniera superficiale, ma nasce da una ricerca concettuale.
L’intervento sull’ambiente, nella città non può essere frutto di un comportamento istintivo, o meglio, non dev’essere solo questo. Ogni volta che mi sono trovato ad intervenire sullo spazio pubblico l’ho fatto riflettendo a lungo sulla reazione che un gesto simile poteva e doveva avere sulla gente. E così ho iniziato a sperimentare azioni di comunicazione urbana più specifiche, passando dall’utilizzo seriale di una scritta o un logo ad interventi più mirati, contestualizzati. Quasi sempre agendo senza permessi o autorizzazioni amministrative, perché, comunque, la dimensione dell’illegalità continua a rappresentare uno stimolo vitale.

La peculiarità della Street art, che usa il contesto pubblico per divenire se stessa, è di rivolgersi ad un pubblico che non sceglie volontariamente di fruirne.
Infatti. Come dicevo, ogni mio intervento non prescinde dalla riflessione sull’impatto che esso può avere sulla gente. Io non ho la presunzione di essere necessario. Semplicemente, il mio intento è quello di suggerire degli input, che invitino le persone, quelle in grado di recepirli, ad una riflessione. Per fare ciò di solito utilizzo delle parole, scegliendo uno stile volutamente grezzo, ruvido. Parole dotate a mio avviso di un fortissimo potenziale evocativo.

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