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Tavole Barocche Banchetti, feste e nature morte tra XVII e XVIII secolo dalla Collezione Corsi di Firenze




[box type=”note” ]Tavole Barocche
Banchetti, feste e nature morte tra XVII e XVIII secolo dalla Collezione Corsi di Firenze
Castello Svevo di Gioia del Colle (Ba)
11 aprile – 28 giugno 2015
A cura di: Francesco Di Ciaula
Orari di apertura: tutti i giorni 8.30 – 19.30
Tariffe ingresso Castello: intero 2,50 euro / ridotto 1,25 euro ai cittadini dell’Unione Europea da 18 a 25 anni / omaggio sotto i 18 anni. Ulteriori riduzioni ed esoneri come da normativa statale.
Catalogo: Claudio Grenzi Editore
Per informazioni: Sistema Museo 199 151 123 (dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 15.00 escluso i festivi) – callcenter@sistemamuseo.it[/box]

[googlemap src=”https://maps.google.it/maps?q=Castello+Svevo+di+Gioia+del+Colle+(Ba)&hl=it&sll=41.89021,12.492231&sspn=0.010463,0.023046&gl=it&t=m&z=16&iwloc=A” width=”200″ height=”300″ align=”alignright” ]Nell’anno dell’Expo di Milano, dedicato alle tematiche dell’alimentazione, le suggestive sale del Castello Svevo di Gioia del Colle (Ba) ospitano dall’11 aprile al 28 giugno 2015 la mostra “Tavole Barocche”, promossa dalla Regione Puglia e dal Comune di Gioia del Colle.
La mostra, a cura di Francesco Di Ciaula ed organizzata dalla società Sistema Museo, espone dipinti raffiguranti nature morte, paesaggi e scene conviviali tra XVII e XVIII secolo, provenienti dalla Collezione Corsi di Firenze conservata presso il Museo Bardini, una delle istituzioni museali più importanti del capoluogo toscano.
L’esposizione è allestita nel Castello di Gioia del Colle, tra i più affascinanti manieri realizzati dalle maestranze dell’Imperatore Federico II Hohenstaufen, il Sovrano tedesco che fece della Puglia del XIII secolo la sua terra d’elezione.
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Tra la magnifica Sala del Trono, così nominata per la presenza dell’imponente seggio reale, la Sala del Camino, la Torre de’ Rossi e il Gineceo, si sviluppa armoniosamente la mostra, ricca di opere importanti per la storia dell’arte del Seicento e del Settecento italiano e fiammingo, come quelle del Gobbo dei Carracci, lo Spadino, Giovan Battista Ruoppolo, Jacopo da Empoli, Gian Domenico Ferretti, della bottega dell’Arcimboldo e del seguito di Pieter Brueghel il Giovane.
 
Due le sezioni di mostra, incentrate sulla cultura del cibo e della tavola: la prima espone la rappresentazione degli alimenti nel genere della natura morta, che si impone in maniera decisiva nel Seicento. I dipinti sono dominati dalla variegata presenza di carni, selvaggina, pesci, frutti e ortaggi realizzati da artisti soprattutto di ambito toscano e romano-napoletano. La seconda sezione, arricchita dalle opere di autori fiamminghi, presenta i piaceri conviviali: prevalgono scene di banchetto e di festa, riscontrabili sia nei rituali opulenti e fastosi delle classi aristocratiche sia nelle
immagini di contesti umili e popolari, nei quali l’alimentazione più che piacere della tavola diviene ricerca di appagamento della fame.
 
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LE SEZIONI
Il tema delle quaranta opere esposte, il cibo e la tavola, si rifà al mondo fisico puramente rappresentato, in un contesto di pittura profana dell’epoca barocca, il cui chiaro richiamo alle esperienze dei sensi conduce l’osservatore verso una visione seducente delle cose naturali.
La nascita della natura morta, al centro della prima sezione della mostra, è paradigmatica di un interesse, presente già negli ultimi decenni del XVI secolo tra Fiandre e Italia settentrionale, della possibilità di indagare il reale negli aspetti più dettagliati e “microscopici”, considerati “laterali” nella pittura di storia. L’illusionismo, tutto teatrale, di credere di poter toccare, annusare, assaggiare i cibi sul piano della tela, accentua questa visione di una riproduzione della realtà riconoscibile come vita e vissuto quotidiano dove gli stessi alimenti, fuori da ogni intendimento retorico, suscitano desideri e ricordi sensoriali.
Il processo di crescita e decadenza della frutta e dei vegetali, in connessione con l’idea del tempo che scorre, pone la natura morta come specchio della vita della materia, le cui forme assumono più o meno colore e spessore dall’impatto con la luce, l’unico elemento in grado di interagire con lo spazio della scena.
Nella seconda sezione della mostra, illustrante i piaceri conviviali, i dipinti di ambito fiammingo e francese, raffiguranti feste aristocratiche tra parchi e boschi, fanno riferimento alla fusione del momento della tavola con l’intrattenimento di danze e musiche. Sempre fiamminghe le scene campestri illustranti i pasti del mondo contadino e le colazioni borghesi, mentre nelle vedute urbane del Settecento fiorentino si osserva la vita brulicante delle città, tra fiere e mercati.
Le dispense e le cucine, come luoghi della conservazione e della cottura dei cibi, assumono anch’esse una rilevanza artistica, espressione di una concezione fortemente naturalistica e verosimile della realtà, priva ormai del puro idealismo del Rinascimento.

Spadino, Natura morta con frutta e una zucche
Spadino, Natura morta con frutta e una zucche

LE OPERE
Come incipit del percorso di visita, accanto al trono di Federico, sono collocate la Primavera, l’Estate e l’Inverno eseguiti dalla bottega dell’Arcimboldo, l’enigmatico pittore lombardo cinquecentesco, il quale inventò la conversione del corpo umano in figura vegetale, facendo delle sue opere una prefigurazione della nascita della natura “in posa”. Nell’insieme delle nature morte qui presenti spiccano i dipinti, la Frutta e la Natura morta con cacciagione e frutta, legati a due tra gli esponenti più rappresentativi del genere in Italia, come Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci e il Maestro S.B., noto come lo Pseudo Salini, i quali riflettono le innovazioni caravaggesche dei primi capolavori romani del Merisi, connotate da un intenso e “contemplativo” naturalismo.
Nel caso del secondo pittore si nota la ripresa di modelli nordici, nell’iconografia degli animali da selvaggina, e una carica cromatica tipica della scuola napoletana del Seicento alla quale egli era legato, che in mostra è splendidamente rappresentata dalla tela attribuita a Giovan Battista Ruoppolo, la Natura morta di cucina.
La natura morta fiorentina è presente nelle opere della cerchia di Jacopo da Empoli, il pittore che, formatosi sulla pittura manierista fiorentina, “importa” a Firenze nei primi decenni del XVII secolo il nuovo genere proveniente dalle botteghe romane, tramite la presenza nelle collezioni Medicee di varie tele raffiguranti “pose” di animali e vegetali.
I fasti del Barocco romano sono evocati dalla Natura morta di frutta e zucche di Giovanni Paolo Castelli detto lo Spadino, e la grande tela di Michelangelo Pace detto da Campidoglio, Natura morta di fiori e frutta con papere che si abbeverano ad una fontana.


La seconda parte della mostra è aperta dai convivi immersi liberamente nel contesto naturale di parchi, boschetti e giardini, con l’allusione all’imprescindibile legame tra cibo ed Eros.
La cornice fiabesca delle tele fiamminghe qui esposte, Festa nel parco del Castello e Convivio, con i meravigliosi sfondi di castelli dall’aspetto ancora medievale, dona alla scena un’atmosfera sognante e ovattata, tipica della vita di corte.
Ancora di scuola fiamminga, della prima metà del Seicento, sono le due tele che illustrano la piacevolezza del mangiare immersi nella natura, il Banchetto all’aperto e il Paesaggio estivo, nei quali gli atteggiamenti dei personaggi richiamano una disinvoltura borghese nell’atto della consumazione dei pasti e dello stare a tavola.
La presenza in mostra di un’opera come Interno di osteria con contadini, attribuibile a un artista del seguito di Pieter Brueghel il Giovane, ci permette di cogliere l’elemento grottesco di una scena di festa contadina, dove l’aspetto di preparazione e consumazione del pasto assume una grandissima forza espressiva, tipica dell’arte bruegheliana.
La descrizione della vita umile degli ultimi, in una chiave legata ai costumi alimentari, viene espressa dalla presenza di una tela del pittore del Settecento bolognese, Stefano Gherardini, Interno di osteria con personaggi, formatosi sulla scia del Crespi, e da Il Pulcinella malato, eseguito da un seguace di Pier Leone Ghezzi, il grande caricaturista romano attivo nella Roma della prima metà del XVIII secolo.
In posizione dominante, nella bellissima Sala del Camino, svetta il Bacco e Arianna del pittore Rococò fiorentino Gian Domenico Ferretti, il cui dipinto celebra il Dio del vino, dell’ebbrezza, della trasformazione e della rigenerazione della vegetazione.
Seguendo un suadente percorso tra dipinti ricolmi di frutta, selvaggina, pesci, tavole imbandite e paesaggi animati da feste aristocratiche, colazioni campestri e fiere cittadine, si assiste alla rivelazione di una cultura artistica dominata dal trionfo della Natura mater, la procreatrice dei prodotti della terra, raffigurata nei paesaggi come luogo di bucolico abbandono, dove Eros e le Dee della fertilità e dell’abbondanza giacciono felici sul verde rigoglioso di un prato primaverile.