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“Tintoretto era quasi nano. Con un trucco prospettico allungò il proprio corpo”


 

JACOPO ROBUSTI detto Il TINTORETTO, Miracolo di San Marco, 1548, olio su tela, 415 x 541 cm, Venezia Galleria dell'Accademia
JACOPO ROBUSTI detto Il TINTORETTO, Miracolo di San Marco, 1548, olio su tela, 415 x 541 cm, Venezia Galleria dell’Accademia

 

L’immediatezza delle immagini, la particolare cura nel gioco di luci, la pennellata rapida e discontinua – a sottolineare la necessità di rendere la rappresentazione il più teatrale, e, se vogliamo, cinematografica possibile -: sono questi in sintesi, i punti principali dello stile di Tintoretto. Il pittore veneziano – sostiene lo storico dell’arte Erasmus Weddigen -, nel Miracolo di San Marco diventa regista-attore, inscenando lo schiavo torturato. La somiglianza fisionomica, infatti smaschera l’artista. La sua posizione supina, fortemente scorciata, e l’ombra che cerca di celare la zona dl bacino e, di conseguenza, parte delle gambe dell’uomo, avvalorano la tesi che l’autore abbia utilizzato la prospettiva per compensare un difetto fisico. Questi, infatti, altro non sono che “trucchi scenici” atti a nascondere la statura ridotta di Tintoretto. Egli così, con un escamotage prospettico, assume le dimensioni di un uomo “normale”, trasformando la propria sofferenza per il “nanismo” in una dimensione, appunto, di normalità. Jacopo Robusti, figlio di un tintore di panni (da qui il nome d’arte “Tintoretto”), nasce a Venezia nel 1518. All’età di dodici anni diviene allievo di Tiziano, ma i rapporti tra i due non sono ottimi e, dopo soli dieci giorni, Jacopo lascia la bottega – secondo Carlo Ridolfi autore della biografia del pittore – poiché il maestro è geloso delle spiccate doti del talentuoso allievo. Il primo successo del giovane è proprio il Miracolo di San Marco, opera comunque criticata in quanto troppo “particolare”: l’abilità nel raggelare l’attimo e nel raccontare con concitazione e coinvolgendo emotivamente l’osservatore, infatti, scuote gli animi dei veneziani.