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Van Gogh: il malessere impresso nei campi di grano


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di Francesca Roman

Vincent van Gogh era un uomo istintivo, dai sentimenti forti, spesso violenti, che per tutta la vita ha avuto la consapevolezza di essere un incompreso. Scriveva al fratello Theo, con lucida autoanalisi, di sentirsi come un uccellino chiuso in gabbia, impossibilitato a infrangere le barriere che lo separavano dagli altri uomini.

Con la pittura si crea così una realtà parallela, che gli consente di osservare il mondo e partecipare alla vita. Scrive, infatti: «Quando si è frustrati nella potenza fisica, si cerca di dar vita ai pensieri e si partecipa così dell’umanità». E ancora: «Non nego la follia artistica di tutti noi, e non dico soprattutto io non sia folle fino al midollo». Attraverso la sua arte Van Gogh può esprimere liberamente la propria interiorità, anche se non è mai appagato dai risultati raggiunti.

Paul Gauguin, <em>Van Gogh mentre dipinge girasoli</em>
Paul Gauguin, Van Gogh mentre dipinge girasoli

L’ansia di capire se stesso, la ricerca di un ruolo umano e professionale ben definito, seguita dagli insuccessi, dai rifiuti, dall’isolamento e dal senso d’inadeguatezza, lo fanno infine piombare in una profonda depressione che sfocia in ripetute crisi, durante le quali perde ogni contatto con la realtà. Il primo episodio di questo disturbo si registra dopo la famosa lite con il pittore Gauguin ad Arles, il 19 dicembre 1888. Il pittore francese aveva ritratto Van Gogh che dipingeva i suoi girasoli (1888, olio su tela, 73 x 91 cm, Amsterdam, Van Gogh Museum) con un’aria un po’ stralunata. L’affronto fa tremendamente soffrire Vincent, che quattro giorni dopo tenta di aggredire Gauguin con un rasoio, e poi si taglia una parte dell’orecchio sinistro. Ricoverato all’ospedale di Arles, sarà dimesso il 7 gennaio 1889, ma continuerà a soffrire di simili attacchi fino alla morte, sopraggiunta il 29 luglio 1890, due giorni dopo essersi sparato un colpo di pistola all’inguine.




Il male di Van Gogh esplode dopo anni di latenza nel suo Io più profondo. Al suo disagio psichico, che lo accompagna sin dall’adolescenza, si aggiungono nel corso degli anni altre aggravanti, quali la solitudine amorosa, il basso tenore di vita e forse una sorta di predisposizione genetica alla follia (la sorella Wilhelmine trascorre quarant’anni in manicomio, mentre il fratello Cor muore suicida), oltre all’abuso di assenzio. La cosiddetta «fata verde», bevanda superalcolica diffusa soprattutto tra artisti e poeti dagli anni Trenta dell’Ottocento, provocava, infatti, stati mentali alterati e pulsioni aggressive e violente, oltre a una forte dipendenza e a una percezione distorta dei colori detta discromatopsia (forse all’origine del giallo surreale usato dal pittore).
Nel primo Novecento la malattia di Vincent van Gogh è stata indagata dal filosofo e psichiatra tedesco Karl Jasper, che nella sua patografia del 1922 Genio e Follia ha ipotizzato che i disturbi mentali di Van Gogh (secondo il suo parere una forma di schizofrenia) possano aver in qualche modo facilitato la sua evoluzione artistica, favorendo il distacco dai canoni dell’impressionismo, ed esasperando la sua ricerca innovativa di autenticità e semplicità, spinta quasi a pretendere che le cose dipinte diventassero vive.




Secondo Jasper la malattia avrebbe influito in maniera diretta su Vincent, provocando una sorta di disinibizione, di liberazione dai freni convenzionali, ma anche in modo indiretto, in quanto l’artista, sentendo minacciata la sua potenzialità produttiva, avrebbe intensificato lo sforzo creativo. Un’ipotesi d’indagine sull’influenza che il peggiorare della malattia di Van Gogh ha avuto sulla sua produzione pittorica, può essere un confronto tra alcuni dipinti molto noti, che ritraggono un soggetto caro all’artista: i campi di grano.
Vincent Van Gogh, Il Seminatore
Vincent Van Gogh, Il Seminatore

Il seminatore (olio su tela, 64 x 80,5 cm, firmato in basso a sinistra «Vincent», Otterlo, Rijksmuseum Kröller-Müller) realizzato ad Arles nel giugno del 1888, ovvero precedentemente alla prima crisi, e Il mietitore (olio su tela, 73 x 92 cm, Amsterdam, Rijskmuseum Vincent van Gogh) del settembre del 1889, possono considerarsi addirittura contrapposti.
 
Il seminatore, soggetto ripreso dal tanto apprezzato Millet, ha una connotazione simbolica per Vincent, che paragona la propria fatica artistica al duro lavoro nei campi, ed esalta la figura umana come dispensatrice di speranza e di vita. Il punto focale del dipinto è però senza dubbio il sole, che posto al centro dell’orizzonte, diffonde i suoi raggi in tutte le direzioni, e inonda il campo con una luce calda e vigorosa. È il sole della Provenza, dell’«alta nota gialla» che ha acceso la tavolozza di Vincent al suo arrivo ad Arles nel febbraio del 1888. Qui il pittore aveva inizialmente trovato una corrispondenza tra il suo animo, la realtà esterna e la sua arte. I colori de Il seminatore sono forti, complementari, e le pennellate sono precise, quasi simmetriche.
Vincent Van Gogh, Il Mietitore
Vincent Van Gogh, Il Mietitore

L’acuirsi della malattia, però, produce in Van Gogh un’ondata di pessimismo, che si può riscontrare ne Il mietitore, considerato dallo stesso pittore antitetico al precedente. Così scrive, infatti, al fratello Theo: «Io vidi allora quel mietitore, una figura indistinta che combatte contro il demonio (…) vidi in lui l’immagine della morte, nel senso che l’umanità era il grano che egli stava mietendo. È, se vuoi, l’opposto del seminatore che ho dipinto tempo fa». La figura umana è posta in secondo piano, mentre risaltano i fasci di spighe appena tagliate. Le altre ondeggiano in lontananza con moti convulsi. Sullo sfondo un muro, oltre il quale si profilano montagne impervie. Il sole è di un giallo spento, ed emana una flebile luce livida che rende il cielo verdognolo. I colori sono stesi con tratti irregolari e imprecisi, e una linea marcata definisce i contorni dei monti.


Sarà infine proprio a un campo di grano che Van Gogh affiderà il suo testamento pittorico, prima di togliersi la vita nel luglio del 1890, un campo dove ormai non splende nessun sole, e che trasmette all’artista una grande angoscia. «Si tratta di enormi e sconfinati campi di grano sotto un cielo minaccioso e ho consapevolmente cercato di evidenziare in essi la tristezza e l’estrema solitudine».
Vincent Van Gogh, Campo di grano con corvi
Vincent Van Gogh, Campo di grano con corvi

In Campo di grano con corvi (1890, olio su tela, 50,5 x 103 cm, Amsterdam, Rijskmuseum Vincent van Gogh) le spighe sono rese con frustate di giallo scuro, ocra e marrone, che sembrano uscire dalla tela; la terra pare sollevarsi e abbassarsi in onde, il cielo blu cobalto è incupito da nere nubi minacciose. Non c’è speranza, solo un volo di corvi sopra le spighe mature.




Non si può giustificare il talento e il genio creativo di Vincent Van Gogh con i suoi problemi di salute mentale, né tantomeno pretendere di esaurire la questione analizzando una parte così esigua della sua produzione, tuttavia lo studio proposto contribuisce a sostenere la teoria di Jasper, secondo la quale i disturbi mentali di cui soffriva l’artista olandese abbiano funzionato da catalizzatore nel determinare la sua immensa sensibilità pittorica.

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