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Vantininiano – I baci dell'amore che non muore mai





Con il decreto napoleonico di St. Cloud del 12 marzo 1804, in cui per ragioni igieniche e sanitarie venne imposta la sepoltura dei defunti extra moenia, le città iniziarono a porsi il problema di adattare a tale uso complessi architettonici già esistenti o di costruirne ex novo. Brescia apparve particolarmente recettiva nell’adeguarsi alla nuova legge, anche perché la presenza di Ugo Foscolo, che nel 1807 pubblicava proprio a Brescia il carme dei Sepolcri, e i rapporti epistolari che il poeta manterrà  fino ai tempi dell’esilio londinese, avevano maturato negli animi una diversa sensibilità nei confronti della morte e soprattutto l’esigenza di dare ad essa un suo determinato e preciso spazio.
 

Brescia, Cimitero Vantiniano visto dal faro centrale
Brescia, Cimitero Vantiniano visto dal faro centrale

Nel 1815 era approvato il progetto che portava la firma del giovane architetto Rodolfo Vantini (1792-1856), il cui nome successivamente verrà unito al cimitero stesso, e di lì a pochi mesi iniziarono i lavori di costruzione nella zona acquistata dal Comune a sud della strada che conduce a Milano, fuori da Porta San Giovanni. Le prime sepolture iniziarono già nel 1819 e nel 1820 venne acquistata dai conti Lechi la prima tomba di famiglia. Il nucleo originario dell’intero complesso è rappresentato dalla Chiesa di San Michele, che ripropone le soluzioni a pianta circolare del Pantheon, affrontate in tempi più recenti nel canoviano tempio di Possagno.



Dalla chiesa, con pronao tetrastilo, si dipartono a destra e a sinistra i portici che ospitano le tombe di famiglia dando luogo alla facciata a nord del cimitero. Su queste originarie ali porticate si innestano perpendicolarmente gallerie e porticati al cui centro si aprono  due sale quadrangolari,  che permettono il passaggio nel grande campo centrale. Il perimetro interno di forma rettangolare si raccorda e trova conclusione in un emiciclo porticato che ospita il Pantheon, pensato per le tombe dei bresciani più illustri, posto in asse con la chiesa, il cenotafio del Beato Bossini e l’altissimo faro, che contraddistingue nella sua unicità il camposanto bresciano.


G.B. Lombardi, Monumento funebre della famiglia Mazzuchelli (part.), 1850-51, marmo di Carrara, brescia, Cimitero Vantiniano, portico terzo, arcata quarta
G.B. Lombardi, Monumento funebre della famiglia Mazzuchelli (part.), 1850-51, marmo di Carrara, brescia, Cimitero Vantiniano, portico terzo, arcata quarta

Il Vantini immaginava quale perno dell’intera costruzione un faro, collocato su una slanciata ed elegante colonna dorica scanalata, posta su un basamento porticato, e coronata da una lanterna, a forma di tempietto circolare, la cui luce sempre accesa potesse illuminare e vegliare idealmente su tutti i defunti.  Ed è appunto a questa idealità, tutta di sapore neoclassico, che rimanda il cimitero che ancora oggi a distanza di quasi duecento anni mantiene inalterata la struttura e la primitiva purezza impressa dall’ideatore. Il susseguirsi delle bianche colonne doriche e il ripetersi cadenzato e preciso dei moduli architettonici conferisce all’insieme un solennità e sacralità senza tempo, comune unicamente alle architetture di quel mondo arcaico nelle quali il camposanto  trova diretta ispirazione.
E. Ximenes, Monumento funebre famiglia Zanardelli (part.), bronzo e marmo di Carrara, Brescia, Cimitero Vantiniano, cella 39
E. Ximenes, Monumento funebre famiglia Zanardelli (part.), bronzo e marmo di Carrara, Brescia, Cimitero Vantiniano, cella 39

I lavori per la costruzione del cimitero si protrassero fino ai primi decenni del novecento e riguardarono il Pantheon, la chiusura dell’ingresso, da cui parte il viale che si apre davanti alla chiesa di San Michele, con  una cancellata e con il riutilizzo dei due caselli dell’ex-dazio posti a Porta San Giovanni, oltre a diversi ampliamenti, sempre nel rispetto del disegno originario.
La storia della realizzazione architettonica del cimitero si intreccia con la storia delle opere scultoree in esso contenute perché per soddisfare i desideri e le richieste di una committenza sempre più attenta a perpetuare il ricordo dei defunti, attraverso monumenti che li rappresentassero, iniziarono ad essere chiamati nel cimitero bresciano oltre a maestranze locali anche artisti provenienti da varie parti del nascente stato italiano.
Il primo scultore ad intervenire nella fabbrica del cimitero è il bolognese Democrito Gandolfi (1797- 1874), artista fedele alla tradizione neoclassica, che su suggerimento del Vantini stesso era incaricato dalla Commissione del Camposanto di realizzare, tra il 1824 e il 1830, per la Chiesa di san Michele, la statua dell’arcangelo, a cui il piccolo tempio è intitolato, tredici busti ad erma di santi per il tamburo della chiesa, due leoni, poi posti ad ornamento del protiro e due dolenti, pensate in un primo momento per il protiro della chiesa, poi per l’ingresso principale e infine poste all’esterno di quello della Sala I . Si susseguono vari artisti milanesi tra cui Abbondio Sangiorgio (1798-1879), autore del Monumento della Famiglia Valotti (1839) e quello a Camillo Brozzoni (1865), raffinato collezionista e generoso benefattore, in cui lo scultore propone forme ancora legate alla tradizione neoclassica. Diverso è il linguaggio del cremonese Giovanni Seleroni (1807-1894) autore di diversi monumenti tra cui quello della Famiglia Bellotti (1858) e della Famiglia Balucanti (1861), e soprattutto del monumento al Beato G. B. Bossini (1853) e di quello a Rodolfo Vantini (1858), posto nella sala del Faro. In queste due ultime opere il cremonese dimostra una particolare attenzione alla resa naturalista dei ritrattati a cui unisce una sapienza di modellato e una precisione nello scolpire i particolari.
Un altro artista che si distingue sia qualitativamente che per l’elevato numero di opere è lo scultore bresciano, a lungo attivo a Roma e noto anche all’estero, Giovanni Battista Lombardi (1822-1880). Nelle molte composizioni, tra cui la raffinata figura velata del Monumento Dossi (1856), la pre-simbolista immagine femminile del Monumento Pitozzi – Baggi (1861) o il realista gruppo del Monumento Maggi- Via (1859) , Lombardi propone un lessico stilistico in cui gli spunti dell’arte nuova appaiono innestanti su una matrice di memoria neoclassica, riuscendo a raggiungere un’equilibrata sintesi tra rappresentazione e contenuto.
Ancora a un bresciano, Domenico Ghidoni (1857-1920) si devono, sul finire del secolo, gli intensi Monumenti della Famiglia Soncini e Da Ponte in cui l’artista muovendo la materia con raffinati effetti chiaroscurali mette in luce una grande capacità tecnica unita ad una altrettanto evidente capacità interpretativa.
Nel camposanto bresciano sono presenti anche opere del torinese Odoardo Tabacchi (1831-1905), autore della colossale statua dedicata ad Arnaldo da Brescia (1882) nella piazza omonima della città, e del palermitano Ettore Ximenes (1855-1926) autore del Monumento a Giuseppe Zanadelli (1907) per il quale realizza il bronzeo gruppo della famiglia.
Molti altri artisti di fama nazionale come i milanesi Giuseppe Croff, Antonio Tantardini, Emilio Quadrelli,il ravennate Gaetano Matteo Monti, il veronese Innocenzo Fraccaroli, il bergamasco Luigi Pagani, i bresciani Giovanni Antonio Labus, Giovanni Emanueli e altri ancora hanno arricchito con le loro opere i bianchi e monumentali porticati del cimitero Vantiniano di Brescia in cui la storia dei singoli personaggi diventa la storia di una città e di una nazione.
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