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Fabrizio Avena



Stile Arte intervista Fabrizio Avena
 
Iniziamo con una breve scheda 
 fabrizio
Sono nato a Palermo nel ’65, secondo di cinque figli. Vivo e lavoro a Verona dal 2001. Ho compiuto studi tecnici e universitari (architettura). La critica d’arte ha individuato nei miei lavori un filone “realismo espressionista” e una linea metafisica.
Ci può raccontare imprinting visivi,immagini artisticamente ossessive, che hanno preceduto e assecondato la scelta di intraprendere la strada formativa per diventare artista?
Fin da piccolo ho mostrato questa inclinazione. Ricordo che da ragazzino dipingevo con tutto quello che avevo a disposizione, anche l’olio di oliva, all’occorrenza,  con stecchini , spazzolini. Copiavo le riviste di allora soprattutto Intrepido e Monello. I disegnatori erano eccezionali. Leggevo tutto ciò che era arte. Conobbi allora la pittura impressionista e me ne innamorai. Vidi anche una bellissima mostra alla Galleria Nazionale di Palermo. Ricordo l’emozione nel vedere Renoir , Monet, Degas. Mi è rimasta dentro quella luce; quella luce, anche d’interno, che caratterizza i colori splendidi i pastelli di Degas. Sono cresciuto imitando loro.
 
La formazione vera e propria.dove e su cosa ha particolarmente lavorato? Sono esistite, in quel periodo, infatuazioni espressive poi abbandonate? Come si sviluppa e conclude nel senso stretto dell’acquisizione dei mezzi espressivi, il periodo formativo.
Come dicevo ho iniziato da piccolo. A dieci anni conoscevo e sapevo usare diverse tecniche: olio bagnato su bagnato, a velature, a tocchi ravvicinati; acquerello, pastelli ad olio  – i miei preferiti da sempre-  carboncino, matite colorate, acrilico sanguigna. I soggetti quelli di sempre – nature morte, paesaggi – ma sperimentavo, tutti i giorni, tecniche miste. Compatibilmente con la scuola studiavo di giorno e disegnavo e dipingevo di sera, lo facevo per me e per i parenti li regalavo, ma non di rado li vendevo anche. A diciassette anni la svolta. Mi presentarono  Albano Rossi allora critico giornalista della Rai, che era stato professore a Brera.
Entrai in un mondo a me sconosciuto inesplorato: la bottega, direi. Sì perchè, di fatto, andavo tre volte la settimana per 4 ore, e disegnavo e disegnavo, a carboncino, sanguigna, matite grasse. Ero da solo e il professore si limitava a darmi i consigli poi spariva e io viaggiavo immerso tra i quadri che vedevo, da terra a soffitto, in tutte le pareti, e disegnavo calchi di braccia ,mani, piedi, muscoli, vene , barattoli, uova. Ritornavo a casa e avevo una gran voglia di dipingere, di sporcarmi le mani con i colori. Poi l’indomani  portavo dal professore ciò che avevo fatto , e lui non li guardava nemmeno. Solo dopo molto tempo capii quei silenzi.
Dopo circa un anno dovetti lasciare mi diplomai e parti per il militare. Ero di stanza in Piemonte; quando potevo andavo nei musei nelle gallerie e mi nutrivo estasiato di fronte ai capolavori che vedevo . Ritornato, mi iscrissi alla facoltà di architettura. Dipingevo di giorno , e studiavo di sera. La storia dell’arte e dell’architettura mi davano una nuova visione del mondo.Cominciavo ad introdurre nuovi temi – e la tecnica si affinava – ,temi che ricorreranno nella mia opera futura (e la tecnica che, via via, si affinerà, divenendo quella di oggi).
Nell’ambito dell’Arte, della filosofia, della politica,del cinema,o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
Studiando la storia dell’arte, mi sono appassionato alle teorie di Fisiognomica e dalla Gestalt. Ho studiato, al fine di metterle in pratica, nella mia pittura. Intanto proseguivo nelle letture di specialistiche di arte. Analizzavo autori che, più degli altri, attiravano la mia attenzione, come Bacon, Piero Pizzi Cannella (l’essenza),  Valerio Adami,  (la storia e la filosofia), Remo Scquillantini (la tecnica).
Gli esordi come e dove sono avvenuti? Ci può descrivere le opere di quei giorni e far capire quanto e come le stesse- anche  per opposizione- abbiano inciso sulla attuale produzione?
Nel 1989, la mia prima collettiva di una certa importanza a palazzo Asmund,o a Palermo, presentavo tre opere frutto della rivoluzione che era in corso in me. Presentai Dedalouna struttura lignea di dimensioni 200x180cm nella quale erano inserite quattro tele dipinte ad olio che, con spazi vuoti, formavano una scena, ma che,  singolarmente, potevano esistere anche da sole. Poi l’Arena, gruppo di due figure contorte tra loro sempre olio su tela,  quindi Conflittualità (qui sotto), anch’esso olio su tela.
fabrizio conflittualità


In quel periodo avevo lavorato molto su questa linea di pensiero: gambe che si intrecciano, corpi uniti , lotte, conflitti tra muscoli, il “pathos delle forme”, come li definirono allora. Queste opere hanno segnato la mia produzione,con i dovuti cambiamenti, nel tempo, ma in linea con quei principi.
 
Quali sono stati gli elementi di svolta più importanti dall’esordio ad oggi.Possiamo suddividere e analizzare tecnicamente, espressivamente e stilisticamente ogni suo periodo?
Da una fase legata alla rivisitazione dell’impressionismo, sono passato, alla metà degli anni Ottanta a questa figurazione di intrecci e di forze diverse.  Si passerà, negli anni Novanta, a una linea più lirica e più poetica dove la metafisica dei soggetti e la tecnica cambiano pur rimanendo legati in parte al periodo precedente, i temi sono LiberateliAmanti in blu, Frenesia di un attimo. E questa è una fase che si protrae fino alla soglia del 2000, in poi inizia ad insinuarsi la crisi. Smetto di dipingere la figura e passo all’astrazione, con quello che allora fu definita “archeologia della memoria”. Nascono cosi opere ad olio o tecnica mista, con dimensioni non inferiori ai 100x100cm.
fabrizio frenesia di un attimo
Una produzione che si protrae per i cinque anni successivi, e faccio fatica inizialmente a spiegare che era una logica conseguenza e che ero io con le mie line e poesie ma non mi credevano no, si disorientarono, chi scriveva di me nella fase precedente, solo dopo alcuni comprendono che quella era  il mio minimalismo, la mia fine corsa, avevo sperimentato e fatto tutto mi svuotai o almeno credevo, nascono cosi appunto Archeologia della Memoria figura, la prima opera astratta del 2000  e In and Out, l’ultima del 2005.
Nel frattempo, il trasferimento a Verona, il matrimonio,una figlia, il lavoro in un’azienda. Perdo i contatti, gli amici di sempre. Credo di aver smarrito la strada, la passione , la voglia.
In realtà mi mancava la narrazione. Conscio di essere anacronistico rispetto alla produzione corrente, fatta di istallazioni ,video, e performance, mi accorgo di non poter andar oltre all’astrazione e, nel 2011, riprendo o meglio ricomincio a fare quello che anni prima avevo interrotto: la figura. Scelgo un tema, la donna, che credo sia l’eleganza assoluta, per i miei racconti, e ritornano la fisiognomica, la Gestalt. Adesso i crocchi li vesto, ma taglio le teste; entro nei particolari. La figura si avvicina, in primo piano. da un gesto, da una posa. Voglio che chi li guarda possa dire quella sono io. A quel primo Pierrot (qui sotto), nel 2011, sono seguite circa 15o opere
 
 
pierrot  36x36
fino a Glamur (2014, qui sotto) e Bella (2015).
 
 
fabrizio glamur
 
fabrizio sam
Ci sono persone, colleghi,  collezionisti, critici ai quali riconosce un ruolo fondamentale nella sua vita artistica ? Perché?
Dopo la prima collettiva, nel 1989, conobbi tante persone; tra queste Francesco Federico  e sua moglie Cristina Casamento, entrambi poeti e scrittori. Diventammo grandi amici – e ancora oggi lo siamo-; furono mecenati e collezionisti, della mia opera. Assieme ad altri cari amici fondammo la associazione culturale Documenta Duemila… poeti, musicisti, scultori, pittori… eravamo molto attivi. Facevamo eventi di poesia, musica e arte, con il sax di Enzo Orlando… ho ancora i brividi a ricordarlo. Poi la scultura; e cosi, in giro per la Sicilia. Ci riunivamo nella casa di Francesco e Cristina, un Palazzo del 600 tra noccioline e poesia.  Crebbe il mio spirito, e la mia arte si fece poetica. Frequentavo anche lo studio del maestro scultore Domenico Zora. Con lui si parlava tanto, direi tantissimo, di tutto. di arte e di  vita. Io mi occupavo di preparare le sue mostre e spesso esponevamo assieme. Bella persona.  Siamo ancora amici. Ho ricevuto tanto anche da lui. Direi che queste furono persone importanti, ma farei un torto ad altri se dicessi che furono le uniche.


Materiali e tecniche.ci può descrivere,analiticamente,come nasce una sua opera del periodo attuale, analizzandone ogni fase realizzativi,dall’idea alla conclusione.
 Partendo dal presupposto che non tutto quello che si pensa e si vede possa essere una buona opera, e dato che le immagini della mia opera  sono legate al reale, per le pose di donne prevalentemente, e dato che non faccio uso di modelle, mi servo di foto scattate da me o prese da riviste o internet. Io cerco e trovo, direi. Immagini che manipolo, taglio e faccio mie, per poi disegnarle su carta comune dove metto e tolgo, graffio, e scarnifico, cancello e ripasso affinché la mia narrazione si manifesti , e da notare raramente una posa si ripete nella mia opera, quando vedo che si manifesta l’epifania di ciò che voglio, trasferisco su cartoncino di cotone o su tela. Una specie di sinopia. Lì prendono corpo i valori tonali. Grigi, graffite o carboncino sono la base per i colori successivi; poi lavature di acrilico complementari, e pastelli ad olio , e acrilico, in un susseguirsi, di leva e metti,  asciuga e bagna, poi graffia e ritocca.
Ha gallerie di riferimento? Dove possono essere acquisite le sue opere?
 Proprio da non molto collaboro con la Galleria Prima Luce, di Ferrara.  Dove il 7 marzo 2015  torno ad esporre. Una personale con venti opere.
Orientativamente, quali sono le quotazioni o comunque i prezzi delle sue opere, indicando le commisurazioni?
 Per quanto riguarda le tele, si va da 1800euro per le 100×100 cm a 2500 euro per le 140x140cm. inoltre 600euro per i cartoncini di cotone, 40x40cm, con variazioni per dimensioni più piccole.
 
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