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La pala del Moretto. Ecco la prima pubblicita' a una scuola d'infanzia




Moretto-SanNicoladaBaripresentagliallievidiGaleazzoRovelliallaMadonnaintronocolBambinoSeguendo il sontuoso vento cromatico di Tiziano che spirava con prepotenza sulla Terraferma, ma in un tessuto psicologico e disegnativo dominato da una Grazia che doveva giungere dalla visione delle stampe di Raffaello, Moretto, in un’elegante cornice architettonica, collocò un singolarissimo episodio devozionale che ebbe, al contempo – nell’edificio di culto – la funzione di manifesto pubblicitario per una scuola di Brescia, la città dell’artista.
Devozione e promozione, direttamente, nella sacra cornice del tempio, nel quartiere in cui il grammatico esercitava la propria attività didattica, evidentemente a favore dei rampolli della nobiltà e della borghesia cittadina. Il quadro raffigura san Nicola di Bari che presenta alla Madonna, in trono con il Bambino, gli allievi di Galeazzo Rovelli.
La scena punta a evocare un’atmosfera di domestica naturalezza, nell’effusione sentimentale che unisce Maria e il piccolo Gesù – i quali appaiono vivi, miracolosamente materializzati da una pala d’altare che immaginiamo collocata alla destra del dipinto, all’interno di un’edicola retta da una colonna e da una lesena – a san Nicola e agli allievi del maestro, che occupano il piano del pavimento e che si affidano ai protettori celesti, portando con sé omaggi votivi, come in una cerimonia d’avvio dell’anno scolastico.


La Madonna si protende verso i remigini – il movimento è sottolineato dal rigonfiamento del velo, che si stacca dalle spalle -, mentre il Bambino le accarezza il volto, con infinito amore. L’indice di Maria intende però portare l’attenzione di Gesù in direzione dei visitatori, invitandolo ad una più autorevole benedizione.
Gli studiosi hanno sempre supposto, come pare probabile, che il volto di san Nicola fosse quello del maestro Galeazzo, che all’epoca aveva sessantasette anni, età perfettamente compatibile con quella dell’effigiato. Sul cartiglio, collocato alla base dell’altare laterale, appare la dedica che rende inequivocabile, anche laddove potessero manifestarsi dubbi sul riconoscimento fisionomico del grammatico, l’identità del maestro: “Virgini deipare / et divo Nicolao / Galeatius Rovellus / ac discipuli d.d. / MDXXXIX”. “Alla Vergine madre di Dio e a san Nicola, Galeazzo Rovelli e discepoli dedicarono. 1539”.
Ma chi era Galeazzo Rovelli? Nato nel 1472 a Rovato, borgo a una decina di miglia dal capoluogo provinciale, figlio di un certo Martino, venne censito come maestro di grammatica, a Brescia, nel 1534. Abitava in contrada di Santa Maria dei Miracoli – e forse, come usava al tempo, presso la propria abitazione aveva aperto la scuola -, vicino all’omonima chiesa per la quale fece eseguire la pala.
Il dipinto, come testimonia la dedica, venne pagato dall’insegnante stesso, magari con il contributo economico delle famiglie dei bambini e in particolar modo dei primi due studenti, vestiti allo stesso modo, a differenza degli altri alunni che stanno alle spalle del santo-maestro: evidentemente due fratellini che, per censo, posizione sociale preminente e, arguiamo, per il cospicuo apporto finanziario alla realizzazione dell’opera, maturarono il diritto di essere ritratti in prima fila, mentre recavano le importanti insegne ed offerte votive di san Nicola.


Furono, questi, i decenni nei quali gli investimenti in cultura, nella città di Moretto, si manifestarono di notevole entità. Superato il periodo di guerra (1508-1515), il Consiglio aveva stanziato fondi consistenti per pagare insegnanti di retorica, varia umanità e istituzioni civili. Il 16 settembre 1519, in una provvisione del Comune si esaltava il valore delle lettere e si prendevano iniziative per una nuova, regolare ripresa dell’insegnamento; tale provvisione fu reiterata nel 1545 e nel 1563. Gli insegnanti ebbero anche importanti agevolazioni, considerata la rilevanza sociale della loro attività. Soltanto a metà del Cinquecento, il Comune, considerato l’elevato giro d’affari che s’era sviluppato nel campo dell’educazione, deliberò l’abolizione del privilegio dell’esenzione fiscale per i maestri. Nel 1532 un caro amico del Moretto, Agostino Gallo, con la collaborazione di altri maggiorenti della città diede il via alla prima scuola popolare gratuita aperta ai fanciulli poveri, tenuta agli esordi in Duomo Vecchio, poi nell’attiguo battistero. Pochi anni dopo, nel 1535, sant’Angela Merici, al cui milieau Moretto apparteneva, fondava la “Compagnia delle dimesse” per la promozione dell’istruzione femminile.
Perché fu scelta la figura di san Nicola ad occupare una posizione centrale nella pala di devozione e propaganda del maestro lombardo?
Il santo era considerato protettore dei fanciulli, dei marinai, dei prigionieri e degli studenti. Infatti, egli avrebbe resuscitato tre chierici
– studenti, appunto, che percorrevano la lunga strada per il sacerdozio – derubati e uccisi da un oste.
Orfano di una famiglia molto ricca, Nicola venne portato in un monastero per essere educato da prete. Qui trascorse la giovinezza e, quando lasciò il cenobio, diventò vescovo di Mira. La leggenda più nota legata alla sua vita
– ricordata anche nel Purgatorio di Dante (XX, 31-33) – è quella delle monete d’oro, che sono peraltro raffigurate sulla cima del bastone retto da uno dei piccoli studenti, nel quadro del Moretto, alle spalle del santo. Un nobiluomo caduto in disgrazia si disperava per la sorte delle sue tre figlie, per le quali non disponeva dei fondi utili a costituire una dote. Nicola volle aiutare la famiglia e, per due notti consecutive, gettò dentro la finestra del loro castello un sacco pieno di monete d’oro. La terza sera il padre, che intendeva scoprire l’identità del misterioso benefattore, chiuse tutte le finestre, e Nicola fu costretto ad arrampicarsi sul tetto per calare le monete giù dal comignolo. Il denaro, cadendo, si infilò nelle calze delle fanciulle appese ad asciugare vicino al camino.


Molto spesso, per ragioni di semplificazione iconografica, i tre sacchi di monete sono rappresentati come altrettante palle d’oro, quelle che vengono sorrette dal secondo alunno nel dipinto di Moretto; alunno che non reca, come scrisse il Gombosi nel 1943, “il suo dono con buffa avarizia”, ma – notiamo noi – con il tipico atteggiamento dei bambini che sono costretti a trasportare oggetti pesanti e ingombranti, tenendoli tra le mani e appoggiandoli, al contempo, al petto. Chiara prova, questa, della sensibilità realistica dell’artista, che esplora i volti e i corpi dell’infanzia con gli esiti di una dolcissima verità. (mbc)