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Picasso con la ceramica della gioia salvò un intero paese


Nell’agosto del 1946, mentre in vacanza a Golfe Juan, in Provenza,con Françoise Gilot, Picasso visita una mostra di artigianato locale a Vallauris. Qui incontra Suzanne Ramiè, che aveva creato un atelier alcuni anni prima in una dei vecchi laboratori abbandonati della città. Quel pomeriggio, Picasso produsse diversi pezzi tra cui una piccola testa di fauno e due tori: l’inizio di un’avventura e di una collaborazione con la famiglia Ramié che sarebbe durato 25 anni. I Ramiés lo accolsero a tempo pieno nel loro laboratorio l’anno successivo, e tra il 1947 e il 1971 avrebbe continuato a produrre un corpus di ceramiche unico e 633 piatti diversi, ciotole, vasi e brocche, in edizioni limitate che vanno da 25 a 500. Tuttora questi pezzi, che non hanno costi stratosferici costituiscono un ottimo investimento.
La produzione di Vallauris era strettamente artigianale fin dall’antichità, ma in quegli anni il mercato era economicamente crollato.
Per ben dieci anni, Picasso coltivò una collaborazione piena con i Ramiè ed al loro atelier trasferendo il proprio studio in una vicina fabbrica di profumi abbandonata  e stabilendosi in un cascinale sulle alture del paese.
Picasso come Matisse iniziò dipingendo e decorando piatti, vasi e boccali e conferendo loro, spesso con pochi tratti, segni saettanti o incisioni rapide,  un aspetto tutt’altro che artigianale.
Indovinata la scelta, cominciò presto a modellare le forme, e tra colombe, gufi, figure e piastrelle diede a Vallauris una tal fama che ad ogni compleanno dell’artista,  il paese gli organizzava una festa così ricca da sembrare la celebrazione del santo patrono. Veniva organizzata anche una corrida con tanto di Corrida e di Platea con posto d’onore da primo cittadino.

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