Press "Enter" to skip to content

Renato Balestra – Una fondamentale formazione pittorica



di Enrico Giustacchini

Eccoci ad un’altra tappa del nostro viaggio nell’Alta moda, indagine del complesso di relazioni che intercorrono tra questo ambito creativo e le arti figurative. Il vicedirettore di “Stile” ha incontrato Renato Balestra.

f_2Balestra, ovvero l’elogio della pittura. Che lei ha sempre amato molto…
Dipingevo già a quattordici anni. Conservo alcuni oli di allora: riguardandoli oggi, non posso fare a meno di sorridere. Però, tutto sommato, li definirei discreti: rispetto all’età in cui sono stati realizzati, naturalmente. Dipingevo e disegnavo, disegnavo molto. Per qualche tempo ho pensato – o sognato – che da grande avrei fatto il pittore. L’altro mio grande sogno era la musica (studiavo pianoforte). Poi, la vita ha deciso diversamente per me.


Tuttavia, la passione per l’arte è rimasta. E permea in profondità anche la sua attività di stilista. Attività che si esprime – mi riferisco in particolare all’Alta moda – in una linea classica, di straordinaria raffinatezza, ma che non esclude il ricorso a scelte per così dire d’avanguardia.
La moda risente – deve risentire – di quanto di nuovo avviene intorno ad essa. E’, la moda, anche riflesso di un momento storico. Fra cinquanta, cent’anni, se uno stilista sarà stato bravo, la sua moda sarà diventata costume. Pensiamo alla classicità: quelli che per Greci e Romani erano vestiti normali, della vita quotidiana, sono oggi per noi costumi caratterizzanti un’epoca. Quando si crea, non si può prescindere da un feeling profondo con ciò che influenza la nostra vita. Non mi riferisco a certo sciocchezzaio odierno, a scoop veri o presunti, ma alle cose importanti, alle cose che contano. L’ispirazione non nasce solo dal riferimento pittorico – o musicale, o letterario -, ma anche dal confronto con la società che si evolve (magari, a volte, in modo purtroppo drammatico). E’ un autentico modo di essere che si riverbera nel modo di vestire. Se manca questo, manca la creatività.


La moda assurge comunque, secondo lei, alla piena dignità di forma d’arte?
Senz’altro è una forma di cultura. Diventa arte se la si fa prostituendosi il meno possibile alla commercializzazione. Cercando di ridurre i compromessi al minimo indispensabile, e comunque, per quel che mi riguarda, evitandoli completamente nell’ambito dell’Alta moda. L’Alta moda dev’essere libera dalle pastoie commerciali, dev’essere pura, intima espressione creativa.


E’ notorio che lei adora viaggiare. “Viaggiare – ha dichiarato in diverse occasioni – è la più grande scuola di vita”. Quando si reca in altri Paesi, come si rapporta con gli aspetti più peculiari dell’arte figurativa locale? E che cosa la colpisce maggiormente?
Mi entusiasmano i colori e la ricchezza dell’Oriente. Mi affascina la sensibilità di quei popoli, così diversi da noi. Noi siamo solide querce, gli orientali sono giunchi all’apparenza fragili. Se scoppia un temporale, però, la quercia può essere abbattuta, il giunco flessibile no. Anche il male, per gli orientali, è parte della vita, e va accettato. La lezione è questa: considerare solo le cose belle è uno sbaglio. Più in generale, posso dire che un viaggio regala tante emozioni: e le emozioni sono forse la componente principale dell’arte. Molte volte mi è stato chiesto di definire il concetto di ispirazione; ed a lungo, per anni, non ho saputo rispondere. Ora credo di avere finalmente capito: l’ispirazione è figlia di un’emozione. L’emozione che ti dà un incontro; o un amore; o una melodia; o, per restare nell’ambito della nostra intervista, un bel quadro. E se il viaggio dà emozioni, allora, che cosa c’è di meglio che viaggiare? Un viaggio vale dieci libri (e lo dice un lettore appassionato come sono io). Purché si viaggi con gli occhi aperti, e con il cuore.


E veniamo al suo rapporto con il colore. Un rapporto splendido, profondamente inventivo – pensiamo al celebre “blu Balestra” -, ricco d’immaginazione e all’insegna della sperimentazione continua. Lei dà l’impressione di giocare con i colori, utilizzati in modo netto, sovente timbrico…
La mia è una sfida, alla ricerca di nuovi accostamenti e tonalità. Una sfida che mi deriva certo dalle mie frequentazioni in pittura, sia fatta che vista. Io non uso quasi mai un colore già esistente. Un rosso può avere cento sfumature, e mi piace cercare ogni volta quella “giusta”. L’importanza di un colore non è tanto in sé, quanto negli accostamenti. E’ un luogo comune, secondo me, affermare che certi colori non “stiano bene” insieme. Non è affatto vero: eventualmente, a non “star bene” insieme sono “certe” tonalità di quei colori. Un esempio: si è sempre sostenuto che rosso e rosa non vadano accostati. Io ritengo invece che un “certo” rosa ed un “certo” rosso si sposino alla perfezione. Non ha mai fatto caso a come si armonizzino, composti in uno stesso vaso, le più raffinate orchidee ed umilissimi fiori di campo?

C’è qualche singolo pittore – o movimento artistico – che l’ha influenzata in modo preminente e decisivo nel suo lavoro di stilista?
O, comunque, qualche pittore – o movimento – che lei predilige? Mi piace la pittura. Tutta. Purché sia bella pittura. Ecco, semmai non amo troppo la pittura fatta con l’intento di colpire, di scioccare ad ogni costo. Non sempre, purtroppo, è il buon gusto a trionfare. Con ciò non nego che l’arte possa, a volte, essere anche estrema. Ma questo estremismo deve avere una sua pertinenza, una sua giustificazione. E, soprattutto, la pittura non può rinunciare a quella che per me, lo ribadisco, è la sua funzione più autentica: deve, cioè, saper suscitare emozione. Spesso, invece, gli artisti esprimono una forma di comunicazione cerebrale, che non arriva al pubblico. Allora all’emozione si sostituiscono il fastidio, la noia. Penso alla cacca sul pavimento di certe Biennali. La storia dell’arte è passata attraverso tante rivoluzioni: ma si trattava di rivoluzioni vere, promosse con l’obiettivo di raggiungere nuovi traguardi. Per questo esistono i geni. L’impressione, in certi casi, è che si cerchi solo la rottura. Ma rompere è facile: più difficile, come si sa, è costruire.


Ha frequentato o frequenta artisti contemporanei?
Nella mia vita, nei miei viaggi, ho conosciuto un grande numero di persone, dai re alla gente comune. Anche artisti: tanti. A volte, da un incontro nascono sensazioni che perdurano nel tempo: a volte no. Non sempre alla forma corrisponde la sostanza: cosicché capita di rimanere delusi. In fondo, oggi, in questa società che privilegia l’apparenza, non è così difficile conquistare un brandello di celebrità, uno spazio sui giornali: più difficile è conservarla nel tempo, la celebrità.


Lei ha disegnato anche i costumi di allestimenti operistici e teatrali di grande successo, in Italia e all’estero. Qui i riferimenti all’arte figurativa diventano quasi “d’obbligo”.
Ci sono due modi per fare costumi teatrali. Il più semplice è studiare i costumi dell’epoca, direttamente o attraverso rappresentazioni iconografiche, a cominciare dai quadri. Io credo però che vi sia un modo migliore: quello in cui il dato “informativo”, pur importante, è filtrato attraverso la propria personalità. Ciò consente di dar vita a qualcosa di nuovo, ma nel rispetto dell’epoca e dell’autore, rispetto da cui non si deve mai prescindere. Io confesso di non sopportare chi pretende di “reinventare” l’opera: chi ambienta la Tosca negli anni del Nazismo o fa calare la Traviata in un manicomio. Il compito di chi propone un allestimento è – a mio parere – solo quello di mettersi umilmente al servizio dei geni che hanno creato questi immensi capolavori. Possiamo e dobbiamo inventare, ma sempre mantenendo un feeling con l’epoca e l’autore.


Che cosa ne pensa nella tendenza, sviluppatasi di recente, a portare l’Alta moda all’interno dei musei?
Tutto il bene possibile. Un bel quadro, senza una bella cornice, ha meno valore. Se crediamo che la moda esprime valori artistici e culturali, perché non metterli in evidenza? Naturalmente i contesti possono essere anche altri, e molto diversi: va bene pure una fabbrica metalmeccanica, purché si riesca a ricreare la giusta atmosfera. E’ inutile aggiungere che personalmente – amando l’arte – preferisco restare, per così dire, a casa mia…


Concludiamo parlando di due pittori che hanno ispirato, in momenti diversi, la sua produzione. Mi riferisco a Goya (per la collezione Autunno/inverno 1996/97)…
Di Goya mi piace tutto: è forte, sanguigno, anche sensuale. Certi suoi colori mi eccitano. Ho ancora nella mente un ricordo vivissimo: da giovane ero ospite di un’amica nella sua casa di Londra. In una sala, facevano bella mostra di sé numerosi Canaletto; in un’altra, una collezione di giade verdi Ming, fiabesca, ammaliante; poi, tutti insieme, ecco cinque, forse sei ritratti di Goya. L’emozione che ho provato è stata unica, irripetibile.


…e a Pollock. I quadri dell’artista americano hanno fatto da riferimento ad una serie di abiti da lei disegnati .
Pollock è uno di quei pittori contemporanei che esprime arte, arte autentica. Le sue macchie di colore non sono mai messe a caso. Sono macchie coinvolgenti. Drammatiche, spesso. E straordinariamente stimolanti per la fantasia.