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Vincenzo Foppa, istruzioni per l’uso


di Maurizio Bernardelli Curuz

1[L’]orizzonte che accolse il Foppa – quando il giovane apprendista lasciò Bagnolo, villaggio a una decina di chilometri da Brescia, per giungere al capoluogo – era dominato dal gotico cortese. Dipinti di cavalieri, dame, paesaggi aperti all’idea del fiabesco testimoniavano un’idea letteraria della natura e degli uomini. Anche i quadri religiosi erano caratterizzati dalla nobile eleganza dei soggetti rappresentati. I personaggi biblici, più che esponenti del popolo, apparivano con l’eleganza e la misurata presenza degli aristocratici. La realtà passava attraverso il filtro dei grandi romanzi cavallereschi. Foppa, arrivando giovanissimo a Brescia ebbe modo di vedere alcune opere dalle quali fu inizialmente influenzato. Tra queste l’Annunciazione di Jacopo Bellini nella quale l’impressione di trovarsi di fronte a un’immagine vera, presa dal mondo, era rafforzato dalla morbidezza dei volti e delle pose, nonché dal soffitto che viene reso con un’immagine prospettica. La prospettiva era una forte novità del Quattrocento. Nel secolo precedente Giotto era già giunto a dipingere secondo una prospettiva intuitiva, che dava un senso di profondità ai quadri o ai corpi rappresentati. Ma era soltanto un primo passaggio verso una pittura realistica. Nella prima parte del Quattrocento, a Firenze, su impulso di Brunelleschi, Masaccio aveva imposto, attraverso l’esempio dell’affresco della Trinità, una prospettiva scientifica basata sull’unione dei punti di fuga degli oggetti e delle architetture verso lo stesso punto dell’orizzonte. I lavori di Masaccio e di altri artisti toscani (tra i quali Donatello) furono osservati, ammirati ed “esportati”.

Foppa voleva rappresentare la realtà religiosa in termini realistici. Cristo doveva essere un uomo vero e non il fiabesco figlio di un dio come appariva nella rappresentazioni offerte dagli artisti che avevano ancora un forte visione gotica. Quindi il giovane pittore osservò con grande interesse ogni forma d’arte in grado di rappresentare con efficacia la verità delle cose. Importantissimo, a questo proposito fu il crocifisso di Giovanni Teutonico, un artista tedesco che aveva scolpito con grande realismo la figura di Gesù in croce. L’opera era ed è conservata nel Duomo di Salò, sul lago di Garda.

Le suggestioni di Jacopo Bellini, attraverso il quale giungeva una visione prospettica del mondo, sommate al forte e crudo realismo di Giovanni Teutonico e alla ricerca sugli effetti della luce presenti in Gentile da Fabriano, che aveva lavorato agli affreschi del Broletto, portarono il Foppa ventenne a realizzare le sue prime opere da noi conosciute , come i “Tre crocifissi” (1450?).

Verso il 1455, Foppa raggiunse Padova, a quei tempi importantissimo centro di ricerca artistica dell’Italia settentrionale. A Padova, nel 1443 era giunto il toscano Donatello che aveva realizzato, tra l’altro, i rilievi dell’altare maggiore della basilica del Santo. L’artista lombardo restò “fulminato” dal grande realismo e dall’impaginazione prospettica di quelle opere. In seguito a questo importante incontro, realizzò, sull’esempio di Donatello, opere come “San Siro” che dimostrano quanto il bresciano avesse osservato le sculture del toscano. Nonostante ciò l’artista evitò di copiare servilmente i maestri.

Quando il pittore si trasferì a Pavia, importante città del Ducato di Milano, e da qui partì per Genova, ebbe modo di vedere le opere di un collega, Donato de Bardi (attivo nella prima parte del XV secolo) che, anni prima, aveva teso un ponte culturale con il mondo franco-fiammingo. Per Foppa anche questo fu un incontro particolarmente importante per un uso realistico della luce e per la ricerca di pose estremamente naturali e quotidiane.

Altri esempi da seguire giungevano da Roma. Alcuni artisti, attraverso appunti, fissavano sulla carta le immagini delle grandi statue romane o greche. La statuaria romana incise profondamente sulla pittura del Quattrocento e, in genere, su tutto il Rinascimento.

L’incidenza degli esempi della statuaria antica sulla produzione di Foppa e di altri artisti dell’epoca è molto forte. I volti dei personaggi dipinti, come la “Madonna con il bambino o Madonna del libro”, sono sorretti da un fondo plasticamente vigoroso che rinvia alla scultura. Attorno al 1470, Foppa, come dimostrano la collana di coralli che pende elegantemente dagli infissi e il panneggio sbalzato nel quadro che abbiamo appena menzionato, guarda anche agli esempi della pittura ferrarese, che tende a creare elementi audaci di eleganza, in una cornice più intensamente simbolica.

L’arrivo del Bramante a Milano – ecco uno dei giganteschi affreschi realizzati dall’artista marchigiano nel capoluogo sforzesco – coincide con l’importazione di modelli sempre più vigorosamente statuari. Ne risente anche il Foppa. In mostra, arretrando leggermente rispetto al Martirio di San Sebastiano di Foppa (1487-1489) è possibile vedere contemporaneamente lo strappo d’affresco del Bramante e il dipinto murale del bresciano che dimostrano una stretta parentela.

A Milano, nel frattempo, giunse Leonardo da Vinci. Per Foppa finirono gli anni dei grandi riconoscimenti. Leonardo sconvolse l’orizzonte pittorico. Le sue figure sono caratterizzate da un’intensa espressività e da paesaggi di grande profondità realistica. Osserviamo questo dipinto del Bergognone, presente in mostra, che rende l’idea del magico transito di Leonardo. Foppa cerca di resistere al nuovo che avanza, ma viene scalzato. Torna a Brescia dov’è assunto come maestro di pittura dal Comune. Poi perde l’incarico ed è costretto a cercare lavoro sul libero mercato. A più di ottant’anni, poco prima di morire, il pittore dipinge lo stendardo per Orzinuovi, il Comune della Bassa bresciana che vuole impetrare l’intervento divino contro un’epidemia pestilenziale. L’uso dei grigi che caratterizza gli incarnati dei santi e il fondale del cielo, tornerà in Moretto e da qui si estenderà alla pittura di realtà che giunge fino a Pitocchetto.