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Warhol, le tecniche e l’elogio dell’arte come industria



Gabriele Mazzota ha studiato opere e poetica di Warhol, anche attraverso i pregevoli materiali della Fondazione Antonio Mazzotta”. Ne riproponiamo l’intervista con Stile Arte

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Questa mostra ribadisce la grande importanza che riveste la grafica nella produzione di Andy Warhol. Possiamo dire che la grafica – ed in particolare la serigrafia – assume per Warhol i connotati di “strumento ideale” di trasmissione dei modelli e dei messaggi della Pop art?

Warhol nasce come grafico pubblicitario. Parte da quella che è stata forse la maggiore rivoluzione del Diciannovesimo secolo – la fotografia – per imporre al mondo dell’arte del Novecento la sua straordinaria capacità disegnativa, che ne fa, senza dubbio, il padre della Pop art. Io ho avuto la fortuna di conoscere Andy Warhol. Mi capitò di essere al suo fianco a tirare una grafica, condividendo così un’emozionante avventura creativa. Trascorremmo sette-otto giorni dal serigrafo: Andy non era mai soddisfatto, scopriva sempre qualcosa che non andava, era esageratamente pignolo, attento ad ogni dettaglio: si comportava, insomma, da eccellente grafico. Oggi viviamo in una società di cultura visuale: è un panorama che è stato anticipato di almeno trent’anni dal genio dell’artista americano. Ma Warhol fu anche un pittore, anzi, un grandissimo pittore, protagonista di un’altra rivoluzione epocale, collocata al di fuori delle avanguardie storiche.

I meccanismi della società dei consumi occidentale – ed in particolare di quella Usa – sono fatti propri, in un certo senso, da Warhol. Il “consumo di immagini” non lascia immune neppure l’arte. Fin dove le opere di Warhol si “piegano” alla logica consumistica, addirittura amplificandola, e dove invece la superano assumendo la valenza, se non di denuncia, quanto meno di problematicità, di ironia e di disagio?
Io credo si possa dire che la logica consumistica diventa, con Warhol, paesaggio. Un po’ come la Provenza per Cézanne. Cézanne si calò nell’ambiente della Provenza e lo fece suo. Creò attorno ad esso una propria, personale capacità di luce e di colore che è alla base dell’arte contemporanea. Andy Warhol è per me l’ultimo genio dell’arte. Prima l’ho definito “grandissimo pittore”. Ma andrei oltre: la sua è probabilmente l’estrema, autentica opera pittorica del Ventesimo secolo. Con i suoi ritratti di celebrità, ad esempio, ha creato miti non meno “mitici” dei personaggi raffigurati. Nell’immaginario collettivo, Marilyn Monroe è così come ce l’ha raccontata Andy. Il quale ci ha lasciato capolavori eseguiti con tecniche raffinatissime, impreziositi dall’uso di sabbie, colori particolari, persino polvere di diamante.

La “serialità” in Warhol: negazione della creatività o fascino “estetico”? Ricordiamo che cosa ha lasciato scritto Gerard Malanga, assistente dell’artista: “Andy era affascinato dagli scaffali degli alimentari nei supermercati e dall’effetto ripetitivo e meccanico che essi creavano… 
Andy voleva meccanizzare completamente il suo lavoro”. Warhol ha scritto: “Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca-Cola, sai che anche il Presidente beve Coca-Cola, Liz Taylor beve Coca-Cola, e anche tu puoi berla. Una Coca è una Coca, e nessuna somma di denaro può procurarti una Coca migliore di quella che beve il barbone all’angolo della strada. Tutte le Coche sono uguali e tutte le Coche sono buone. Liz Taylor lo sa, lo sa il Presidente, lo sa il barbone e lo sai anche tu”. Così per la sua opera: tutti, in teoria, possono fruirne. Egli lancia un messaggio nuovo. Pensiamo ai maestri della grafica dei secoli precedenti: Goya, Piranesi hanno riempito il mondo di immagini straordinarie. Così è stato per Warhol: considero Warhol un altro Goya, un altro Piranesi.
Parliamo dei ritratti. Celebri personaggi, vere e proprie icone della contemporaneità raccontati anch’essi, in fondo, al pari d’un prodotto commerciale.
Va detto innanzitutto che Warhol era un ritrattista che spesso lavorava su commissione, facendosi pagare profumatamente. Ad esempio, a me chiese, a suo tempo, cinquemila dollari per ritrarmi. Io, dopo averci riflettuto, decisi di soprassedere: non tanto per il costo, quanto perché l’idea di entrare a far parte della galleria di personaggi eseguita da quel grande maestro mi metteva un po’ in imbarazzo. E’ inutile aggiungere che ben presto mi resi conto di aver commesso un errore enorme. Tra l’altro, Andy, quando gli comunicai la mia risposta negativa, ci rimase parecchio male.

A metà degli anni Sessanta, Warhol passa dalla tecnica della serigrafia su tela ai “Multipli”. I fogli ripetuti assumono però caratteristiche di unicità per via delle differenti gamme cromatiche che originano diverse cariche emotive.
Warhol interveniva col pennello sui singoli esemplari, “correggendo” l’emulsione fotografica riportata sulla tela. In qualche caso si tratta di piccoli dettagli, semplici accorgimenti; talvolta, invece, ci troviamo di fronte ad una vera, completa “ridipintura”. Comunque sia, ogni multiplo si distingue dagli altri, divenendo espressione di differenti stati d’animo.
La mostra comprende opere del Fondo Mazzotta, cui si aggiungono alcune serigrafie prestate da collezionisti privati. Può segnalarci alcuni tra i pezzi più significativi?
Direi senza dubbio le tre serie “Ten portraits of Jews of the Twentieth century” – ritratti di personaggi quali Einstein, Kafka, Freud, i fratelli Marx -, “Myths” – da Superman a Dracula a Mickey Mouse (vedi “Un quadro in 30 righe”), senza dimenticare lo splendido autoritratto “The shadow” – e “Endangered Species”, ciclo “ecologista” dedicato agli animali in via d’estinzione, insuperabile per l’eccezionale sapienza della costruzione e degli accostamenti cromatici. Si tratta di serie ancora poco conosciute, almeno dal grande pubblico, e che costituiranno una piacevolissima sorpresa. (Stile Arte. 01.06.2001)

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