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Alighiero Boetti e il quadro del mistero. Sai risolvere l'enigma lasciato dall'artista?


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Il mistero persiste, nel silenzio degli 8 simboli colorati e dei 16 nomi di artisti – compreso il suo, ovviamente… – che galleggiano dai fogli del Manifesto, opera in stampa tipografica che nel 1967 Alighiero Boetti aveva riprodotto in 800 esemplari e 6 diverse tirature di colore e spedito ad un folto gruppo di amici e di personaggi del mondo dell’arte. Il significato del Manifesto non si è tuttora ‘manifestato’? Sorriderebbe ancora oggi, l’artista, davanti agli inutili sforzi di critici, amici ed esperti di tradurne i segni grafico-ermetici e di svelarne il messaggio. Aveva persino indicato un notaio, quale unico, e fedele depositario della chiave di lettura di quest’opera. Ovviamente, non è mai stato trovato. O forse non è mai esistito. O ancor meglio: esiste, in un altro mondo però, quello perfettamente disordinato di Boetti lo ‘Showman’, dove è ancora possibile giocare ad una Dama misteriosa nella quale vince chi riesce a far combaciare perfettamente altri, oscuri segni incisi o a rilievo sulle 36, 144 o 289 tessere di legno. Esiste, nel mondo disordinatamente perfetto di Alighiero lo ‘Sciamano’, dove è la follia a regolare esasperate Moltiplicazioni e stregate Addizioni, pronte a trasformarsi in semplicissimi quadratini da annerire o cancellare.

“Alternando da uno a cento e viceversa”, 1977, ricamo su tela
“Alternando da uno a cento e viceversa”, 1977, ricamo su tela

Esiste, nelle multiformi verità dell’universo di Alighiero e Boetti, preannunciato da Nascite future e da Morti mai avvenute, chiamate a congelare il Tempo nella rigida energia di un quadrato perfetto o a scioglierlo per sempre nell’errabondo scorrere dei Mille fiumi più lunghi del mondo. Scaturito all’incrocio fra Oriente e Occidente, sorto dallo scontro di matematica e mistica, di sapere e incoscienza, sospeso fra il gioco ed il dolore, questo è il mondo di Alighiero, questo è il mondo di Boetti, che l’artista ha saputo, con alchemica pazienza, intessere nei fili colorati, lenti e sofferti dei suoi innumerevoli arazzi. Alighiero il profeta, Boetti il matematico. Alighiero Boetti mistico e romantico, forse per quell’antico legame con il suo antenato settecentesco, l’avventuroso Giovanni Battista Boetti, viaggiatore e missionario domenicano in Mesopotamia, che improvvisamente si convertì al sufismo e, facendosi chiamare Profeta Mansur, il Vittorioso, diventò il coraggioso protagonista di una guerra contro l’imperialismo nelle regioni del Caucaso. Fu per questo che, ad un certo punto, anche Alighiero sentì il richiamo di Kabul, trovando solo laggiù la possibilità di un’altra vita e di un’altra arte, parallele e insieme tangenti a quelle finora esperite in Occidente? È da questa lontana discendenza che trovano spiegazione il famoso One Hotel, albergo creato con grande rapidità di mezzi e di… burocrazia dall’artista, magicamente diventato Alì Ghiero per la gente del posto e per le ricamatrici afghane devotamente impegnate nella realizzazione dei suoi arazzi, mappe planisferi calendari parole e numeri che fossero? “Svelare un segreto – diceva – può essere un segno di debolezza”; o ancora, che è lo stesso, “se le cose non sono segrete, s’annacquano”. Certo è che fu laggiù, a Bamyan, un poco più a ovest di Kabul, che Alighiero percepì fino in fondo il potere dell’immagine quale icona frontale, latrice di un sapere millenario, atto fondamentale e costitutivo di ogni civiltà: “Foto, ex-voto, calendario, calligrafia, mandala, grandiosa o povera, eterna o fragile, comunque un’icona eletta”, sussurrò. Fu la costante scoperta delle infinite possibilità e proprietà del numero che gli permise di trasformare la propria opera in uno strumento magicamente in grado di com-prendere, e di ri-creare, i fenomeni della natura e della realtà. Numeri come concetti, presenze, icone di un sapere millenario.
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Alcuni, in particolare, hanno più di altri subìto l’incessante, a tratti quasi sadico, lavorio dell’artista-demiurgo. Fra questi, il 12, il numero dei mesi, dei segni zodiacali, degli apostoli, delle uova che si vendono a dozzine, perché sono simbolo di vita, come ricordava Alighiero; il 12, che può essere diviso per 2, per 3, per 4 e per 6; il 12, che ha tutta una sua potenzialità visiva, come il 4 e il 5, altri due numeri eletti dall’artista a strumento, e musa, di quasi tutta la sua produzione. Così nacquero i suoi quadri quadrati, le sue griglie rettangolari, pronti ancor oggi a riscoprire, nella ricerca di una perfetta disposizione di lettere e numeri, segni e cose, i segreti mai sepolti di dottrine misteriosofiche e pratiche divinatorie, capaci di intersecare pericolosamente tavole cabalistiche ed occulte filosofie medievali. Niente da vedere-Niente da nascondere, come suggerisce il titolo di un’altra sua opera, dove dodici riquadri di vetro occultano, ma in realtà palesano, l’Oltre della percezione, l’Indicibile della verità, l’Impossibilità dell’io rispetto al mondo. Inutile stupirsi, se proprio in una delle incisioni più alchemiche e complesse della storia dell’arte, la Melancholia I di Albrecht Dürer, è da ricercarsi una delle infinite chiavi di lettura dell’opera di Alighiero.
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La donna pensierosa del fiammingo assetato d’Occidente, eppure implicato fino al collo nelle viscere della sapienza orientale, sprofonda nei simboli della geometria e dell’aritmetica, contraltare necessario della follia disgregatrice della creazione artistica. Alle sue spalle, ecco l’icona frontale che Alighiero aveva riscoperto nell’azzeramento del deserto: il quadrato del numero 4, traduzione matematica del cielo di Giove, chiamato a risolvere l’instabile incontro di acque melanconiche, astrali destini e casualità esistenziale. ORDINEEDISORDINE, recitava uno dei tanti quadrati del 4 di Alighiero: ordine matematico e disordine creativo, ‘mensula Jovis’ e ‘humor melancolicus’ s’intrecciano magicamente quattro secoli più tardi nelle sue opere, veri e propri Cimenti dell’armonia e dell’invenzione, della matematica e dell’arte, del caos e del cosmo. Fissa una sfera, la donna-angelo fiamminga, immersa in una contemplazione senza tempo davanti ad un incerto parallelepipedo; Insicuro noncurante un’altra ne disegna, Alighiero Boetti, sfidando l’incertezza dell’arte con l’estasi del numero. SATURNO + GIOVE, risolveva secoli addietro l’incisione, che è la stessa cosa del TALVOLTALUNA TALVOLTASOLE, ritagliato nelle carte colorate di Alighiero: nulla di più semplice, niente di più complesso, come quel CINQUEXCINQUEFAVENTICINQUE, divino quadrato pronto a moltiplicarsi su se stesso, meraviglioso arazzo destinato alla proliferazione, figlio impazzito di una banale regola matematica… Possiamo prostrarci in loro adorazione, fuggire disperati, sfidarli con sarcasmo: i numeri di Alighiero, artista ribelle ed inafferrabile avventuriero, sono sempre stati lì, sulla parete di uno studiolo umanistico o di una moderna galleria, fra le dita di una ricamatrice afghana o fra gli incensi di un santone, pronti a suggerirgli la segreta via per ricongiungersi con il proprio gemello Boetti, rigoroso matematico ed abile imprenditore di un lussuoso albergo nel cuore di Kabul. Pronti a suggerire, a chiunque voglia tentare il salto nell’ignoto, del Tutto o del proprio Io, che fa lo stesso, una via diversa: mistico-romantica, direbbe Alighiero, confermerebbe Boetti.
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