Press "Enter" to skip to content

Artigiano o artista? Quando, come e perchè i due ruoli iniziarono a distinguersi




Gerlachus, “Mosè presso il roveto ardente” e “Autoritratto”, 1150-60 circa
Gerlachus, “Mosè presso il roveto ardente” e “Autoritratto”, 1150-60 circa

La figura dell’artista intesa in senso moderno, con una marcata distinzione verso l’atto creativo, l’unicità del prodotto e l’idea del genio a cui, talvolta, si aggiunge anche una certa eccentricità del personaggio, è nata con il Rinascimento e fu alimentata nel XIX secolo dal Romanticismo. Sebbene in età medievale, com’è noto, siano state prodotte splendide e numerose opere d’arte, chi le creò godette di una considerazione diversa da quella che noi ci aspetteremmo valutandola con parametri moderni. Nel millennio racchiuso nel termine “Medioevo”, che va dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente agli inizi del Quattrocento, coloro che oggi definiremmo “artisti” erano detti “artifices”, termine con il quale venivano chiamati tutti gli artigiani: e proprio questo diverso uso del termine “artefice” rivela la differenza tra la concezione moderna e quella medievale dell’arte e dell’attività artistica.
Nel lungo scorrere del Medioevo avvennero migrazioni di popoli, il Cristianesimo subentrò alle antiche religioni politeistiche, si trasformarono completamente la società e l’intera geografia dell’Occidente. L’arte e il mondo che le girava intorno – committenti, artefici e fruitori – risentirono di queste profonde trasformazioni, variando, a seconda dei momenti, anche la funzione delle opere: sorsero dei dubbi nei confronti delle immagini, sospettate di poter essere possibili veicoli di idolatria, ma al tempo stesso esse divennero strumento di redenzione e salvezza al servizio della Chiesa, nel ruolo di “Bibbia per gli illetterati”. Signori e sovrani si fecero promotori delle arti per accrescere il loro prestigio, e l’arte fu usata anche come strumento di propaganda politica. I monasteri furono per lungo tempo i centri artistici più attivi; poi, a partire dall’XI secolo, con la rinascita urbana, le città divennero i nuovi centri di elaborazione e creazione.
Simone Martini, “Allegoria virgiliana”, 1340
Simone Martini, “Allegoria virgiliana”, 1340

La posizione degli artisti seguì continui mutamenti a seconda dei tempi e dei luoghi; essi hanno lasciato splendide opere usando le tecniche più svariate, e nella maggior parte dei casi il loro nome non è giunto fino a noi. Se in Italia fin dall’VIII secolo esistono firme di artisti, questo non accade in altri Paesi. Sulle sculture francesi del XII secolo sono frequenti i nomi degli scultori, mentre nel secolo seguente rimangono attestazioni di architetti, il che indica probabilmente un significativo mutamento nell’organizzazione del cantiere, dove ormai dominava la figura dell’architetto, che controllava interamente l’impresa, dalla sua concezione progettuale sino alla realizzazione dei suoi dettagli.
E’ nel corso del Trecento, tuttavia, che le notizie si fanno numerose; documenti, firme e iscrizioni rivelano i nomi degli artisti e, soprattutto, letterati e poeti ne elogiano le opere, contribuendo alla loro fama coll’equipararli ai più importanti protagonisti delle professioni intellettuali. Così Petrarca celebrerà il nome di Simone Martini nei versi vergati sul famoso frontespizio virgiliano dipinto da quest’ultimo (i versi scritti dal Petrarca “Mantua Virgilium qui talia carmina finxit / Sena tuli Symonem digito qui talia pinxit”, paragonando Simone Martini al poeta latino, ruppero la tradizione di porre in posizione subalterna coloro che lavoravano “con le mani”, praticando un’arte meccanica, da chi praticava le arti liberali, come i letterati e i filosofi) e nei sonetti 77 e 78 del “Canzoniere”; Giotto sarà invece citato dell’XI canto del “Purgatorio” di Dante (nella celeberrima terzina “Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura”) e nominato più volte in fonti disparate e di diversa natura, oltre ad essere protagonista di alcune novelle di Franco Sacchetti e ad essere celebrato da Boccaccio e annoverato dal Villani tra gli uomini illustri di Firenze.
“Miniatore al lavoro”, Dover Bible, 1150 circa
“Miniatore al lavoro”, Dover Bible, 1150 circa

Agli artisti in genere viene dedicato sempre più spazio anche nelle opere letterarie, e non è un caso che sempre in una novella del Sacchetti (LXXXIV) un artista, pittore di crocifissi, venga così redarguito dalla moglie: “Che maledetto sia chi mai maritò nessuna femina ad alcuno dipintore, ché siete tutti fantastichi e lunatichi, e sempre andate inebbriando e non vi vergognate!”, parole che denotano un nuovo atteggiamento nei confronti degli artisti, che vengono visti anche come “persone particolari”. L’assenza di una tradizione storiografica, più che di una deliberata occultazione dell’artista, ha fatto sì che molti degli autori delle opere d’arte giunte fino a noi dal Medioevo siano stati dimenticati. Le opere degli scrittori del Trecento hanno contribuito al ricordo dei grandi artisti dell’epoca, ma fu soprattutto con le “Vite” di Giorgio Vasari, nel Cinquecento (precedute soltanto dalle importanti pagine dei “Commentari” che, nella metà del Quattrocento, il Ghiberti dedicò agli artisti toscani di cui aveva particolarmente apprezzato le opere), che iniziò quella tradizione storiografica che ha contribuito a mantenere viva nei secoli la memoria degli artisti. Il volume “Artifex Bonus: il mondo dell’artista medievale”, a cura di Enrico Castelnuovo (edito da Laterza), indaga quei secoli lontani, portando alla luce, attraverso l’analisi di opere e di documenti, autori noti e meno noti, appartenenti ai vari periodi (dall’Alto Medioevo fino agli inizi del Quattrocento), vissuti e operanti nelle diverse regioni d’Europa (dalla Spagna all’Inghilterra, dalla Germania all’Italia) ed esperti nelle varie arti (scultori, orafi, architetti, pittori, ricamatori, intarsiatori d’avorio…).
Ne emerge un mondo interessantissimo e variopinto, che comprende i celeberrimi Giotto, Simone Martini e Claus Sluter, come i meno noti Ursus e Gerlachus, o la ricamatrice Mabel, la cui opera fu così apprezzata da Enrico III d’Inghilterra che, nel 1256, il re stesso ordinò che le fossero donate sei misure di stoffa e la pelliccia di un coniglio, in segno di stima e gratitudine personale per il suo lavoro. I protagonisti di questo libro, insieme alle loro splendide opere, riescono a renderci il Medioevo più vicino e a farci riflettere quanto vasta e varia sia stata la produzione artistica dell’epoca.