Una mostra di disegni prestati dal Louvre conferma la teoria di una peculiarità dell'arte nella città felsinea del XVI secolo, sviluppata attraverso due polarità espressive antitetiche ma coesistenti
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Roberto Longhi lo definiva “autore di cartoni colorati”. Una mostra a Montefalco propone ora la rivalutazione di un narratore d’immagini capace di rielaborare in piena autonomia la lezione di Ghiberti e del Beato Angelico
Una mostra a Roma per sostenere la tesi dell’estraneità dell’autore al movimento di Warhol e gli evidenti influssi esercitati sulla sua opera dalla tradizione europea
Torno a parlare di Salvatore Sava. Il motivo è semplice. Questo artista mi è congeniale. Mi capita spesso - guardando alla sua produzione - di trovarvi affinità, tanto rilevanti quanto, talvolta, impreviste e imprevedibili. I lettori della nostra rivista ricorderanno, forse, le mie riletture di due opere di Sava (“Stile” 55), “Magica Luna” e “Le tre lune”. Me ne ero servito - per così dire - per ribadire una convinzione di fondo, alla base del mio credo creativo: per sostenere, cioè, che il Colore non vada lasciato a se stesso, ma vada piuttosto rafforzato dalla Materia. Quel concetto di Colore come entità inscindibile della Materia, insomma, che non mi stanco di ripetere, e che determina il perimetro delle mie contiguità con l’uno o l’altro artista. Ora chiedo invece aiuto a Salvatore Sava per parlare di Forma. Chiedo aiuto ai suoi “Fiori di pietra”.
Sono quelle che segnano - pur nella diversità di percorsi e d’intenti - lo speciale rapporto tra arte e moda. Lo sostiene Gianfranco Ferré in questa lunga intervista in esclusiva per Stile. “Amo dipinti e sculture segnati da un forte dinamismo. Ma anche i volti di Utamaro, le pulsioni cubiste e Dada, le figure di Giacometti e Modí...”
Al Saint Bénin di Aosta una mostra dedicata al maestro del Novecento indaga le peculiarità del “terzo periodo”, quello dei paesaggi intesi come re-invenzione d’una natura paralizzata nell’assolutezza della forma
L’ispirazione questa volta mi è venuta dal cielo. Sì, proprio dal cielo, e per la precisione da un cielo infuocato dal tramonto che incombeva sulla periferia milanese. Ero in viaggio quando, guardando in alto, ho visto il sole affogare all’orizzonte lasciando dietro di sé, per qualche attimo, l’impronta oscura d’un raggio, obliquo ed inquietante. L’immagine mi ha colpito, con la violenza d’una emozione vera.
Al Museo del Corso di Roma mezzo secolo di cultura artistica, tra segno, gesto, materismo: dalle tensioni futuriste all’astrazione, all’integralismo “concretista”, fino al versante dell’informale. A colloquio con Enrico Crispolti, curatore della mostra