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Giovanni Bellini, tecniche e segreti di laboratorio

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Stile intervista Giovanna Nepi Scirè


Giovanni Bellini – maestro di Lorenzo Lotto, di Tiziano, di Sebastiano del Piombo – è l’autore che caratterizza la grande svolta della pittura veneziana. Dopo i restauri, gli studi e le indagini tecniche quali sono le principali evidenze?
Le principali scoperte riguardano precipuamente la parte tecnica. Sono cioè frutto di una lettura che si sviluppa sulle risultanze delle indagini di laboratorio.

Le ricerche hanno permesso di comprendere la forza multiforme di Bellini, la sua ricerca incessante, le differenziate modalità di accostarsi all’opera che mutavano rispetto all’intensità che egli voleva imprimere al soggetto. Parliamo dell’uso dell’olio (tecnica innovativa che sconvolse l’orizzonte pittorico cinquecentesco, in direzione di esiti di grande realismo, NdR): l’utilizzo di questo legante non è esclusivo attorno agli anni Ottanta. Bellini insomma non imbocca definitivamente la nuova strada, dimenticando le possibilità offerte dall’uso delle tecniche tradizionali. Continua infatti a utilizzare contemporaneamente miscele di materiali proteici. E soprattutto viene qui evidenziata l’importanza del disegno in Bellini, del disegno che sottostà all’intervento pittorico.
La produzione del disegno finito è – almeno dal ‘300 e ‘400 – una prassi, nell’orizzonte artistico. Bellini, anche in questo caso, muta notevolmente i registri, secondo un percorso geniale, non sistematico. Nell’opera che raffigura la “Madonna con il Bambino e le Sante Maria e Maddalena”, s’evidenzia un disegno preparatorio molto definito e accurato. Altri dipinti invece hanno tracciati meno marcati. Bellini guardava soprattutto al risultato e sapeva cambiare, in base all’evidenza o alla trasparenza cromatica che egli intendeva dare ai propri soggetti.
La finitura a colore di un disegno molto accurato consente a Bellini di aumentare gli esiti di trasparenza.

Con quale materiale veniva steso il disegno?
Con il carboncino. A volte con la stessa pittura – anche ad olio -, oppure con il nerofumo.

Quali sono le sue radici pittoriche – tra bottega paterna, situata a Venezia, grande città d’arte, l’incontro col Mantegna, la visione della pittura “illusionista” e lenticolare dei Paesi Bassi ?
La bottega paterna è un elemento fondamentale. Il padre, Jacopo, disponeva di un avviatissimo laboratorio pittorico. Era una realtà di notevoli dimensioni…

Siamo già ai livelli di quella che sarà la bottega di Tiziano?
Sì, siamo già a quei livelli, per organizzazione, apporto quantitativo, capacità commerciali. Jacopo Bellini non è soltanto un abile pittore, ma è un notevole manager. Egli intende giungere, a Venezia, all’esercizio di un monopolio.
E numerose scelte da lui compiute vanno proprio in direzione di un rafforzamento della propria impresa. Conosce il Mantegna, imposta l’alleanza con colui che considera un pittore geniale. Gli fa sposare la figlia.

E l’incontro di Giovanni Bellini con il cognato Mantegna sarà fondamentale…
La conoscenza di Mantegna è fondamentale. Come fondamentale è il raccordo con Piero della Francesca, in direzione della luce, della geometricità, della prospettiva. Altro pittore basilare per Giovanni Bellini è Antonello da Messina. (Per decenni si è ritenuto che Antonello avesse insegnato la tecnica ad olio a Bellini. E’ una leggenda da sfatare. Questa tecnica era già nota ai veneziani; ne parla Cennino Cennini). Il rapporto con Antonello va visto come una partita doppia, come un dare e un avere. Bellini impronterà sempre i suoi rapporti con i suoi grandi colleghi nel senso di una circolarità degli scambi.
In vecchiaia ha preso persino da Giorgione. Ma Bellini ha sempre saputo mediare e rivisitare ogni modello al quale facesse riferimento.

Quali sono realmente gli elementi di grande novità portati da Bellini nella pittura veneta?
La prospettiva affinata – appresa dal padre che aveva studiato a Firenze -, e quel senso di grande illusionismo, quello spazio che egli fa dilatare in senso tridimensionale. Quindi la nuova humanitas che coesiste accanto alla pietas cristiana. Bellini è interprete di una forte devozione. Una religiosità profonda, sentita, compartecipe caratterizza le sue opere religiose. E questi elementi di forte spiritualità sono inseriti anche nei contesti paesaggistici, che sono pieni di simboli religiosi…

I suoi fondali, per quanto di un incantato realismo, offrono una visione simbolica che sembra rinviare ad un orizzonte tardogotico.
Sono in realtà paesaggi frutto di una visione religiosa della realtà. Nell’ambiente devozionale vigevano prescrizioni religiose. Il devoto doveva essere aiutato dalla pittura a penetrare nel messaggio cristiano.

Può fare qualche esempio di simboli “nascosti” nelle opere di Bellini?
Guardi. Gli alberi, ad esempio. I due Alberetti sono il Vecchio e il Nuovo Testamento. Un arbusto secco accanto al verde rappresenta la parola arcaica dalla quale emerge, come nuova vegetazione della stessa specie, la testimonianza cristiana, l’era nuova. La rocca, la città fortificata è il simbolo di Maria; il pastore con le pecore si riferisce al Buon Pastore, quindi a Gesù…

I restauri hanno portato a straordinarie conferme rispetto all’uso “sinfonico” del colore in Bellini.

 All’individuazione di quella capacità di variante che, riferendoci al linguaggio musicale, pone in evidenza elementi timbrici e melodici estremamente complessi e diversificati. O meglio: il colore come polifonia.
Le scoperte sono state numerose. La veste dell’angelo della “Annunciazione” dell’organo di Santa Maria dei Miracoli era coperta da una vernice verdastra, facendo supporre che sotto esistesse una tonalità di grigio. In realtà, in seguito alle puliture, è emerso un color azzurro con sfumature violacee nelle zone in ombra.
O pensiamo alla “Madonna in gloria e Santi”, la sorprendente tavola proveniente dalla chiesa di Murano. Il restauro ha consentito di rimuovere alcune ridipinture, come la nuvola che sostiene la Madonna. Altro esempio straordinario di “colore ritrovato” è costituito dalla tavola raffigurante la “Pietà”.
Le indagini hanno evidenziato la complessa costruzione cromatica del prato, realizzata con cinque strati successivi di colori – verde, bianco e giallo – miscelati in modo diverso; nello stesso tempo dev’essere messa in risalto la veste della Madonna, con l’accostamento di azzurro e viola, il primo ottenuto con pigmento prezioso – lapislazzuli -, il secondo con una lacca rossa alla quale l’artista ha sovrapposto, con un’unica pennellata, lo stesso pigmento azzurro.




Può spiegare ai nostri lettori qual è la sostanziale differenza tra il colorismo veneto e l’impianto chiaroscurale leonardesco, e comunque l’attenzione al disegno che caratterizzò la prassi degli emiliani e dei centro-italici?
La differenza sta nel fatto che, mentre Leonardo si orienta verso una sorta di monocromia, Bellini raggiunge una gamma cromatica amplissima, ed il suo è un colore pieno di luce.

Qualcuno, pensando al disegno più sommario di Tiziano, afferma che il colorismo veneto è utilizzo diretto della pittura, con scarsissimi segni-guida di disegno.
Quelle sono leggende da sfatare. Bellini era in grado di disegnare come Leonardo. La differenza, come dicevamo, sta nell’accensione di ampie gamme cromatiche.

Attraverso indagini con strumentazioni tecniche è stato possibile scendere sotto la superficie pittorica. Possiamo ricostruire il percorso di Bellini di fronte alle tavole?
La tavola veniva preparata con gesso e colla. A seguire, egli stendeva un disegno preparatorio che poteva essere inciso, oppure affrontato a pennello – con le ombreggiature a tratti -. Poi stendeva il colore. L’ultimo strato era assegnato alle velature, affrontate con pigmento maggiormente diluito nel legante. Quindi sull’opera veniva posta la vernice finale, che non era gialla come quelle che venivano utilizzate dai restauratori dell’Ottocento; semplicemente, diventava gialla con il tempo. Sarebbe un assurdo pensare che questi artisti – ricorrendo a materiali preziosi come i lapislazzuli – facessero virare al giallo-verde le superfici pittoriche. L’intenzione era di usare una vernice che durasse nel tempo e non alterasse i colori.


Di Caravaggio viene sottolineata la rapidità esecutiva, ottenuta anche grazie a segni sommari tracciati sulla tela. Come operava, rispetto ai tempi di lavorazione, Bellini? Quante opere sono oggi inseribili nel catalogo generale?
L’ “Impresa Bellini”, come abbiamo affermato in precedenza, era una ditta, e spesso la firma posta alle opere era un marchio di fabbrica. Venezia era la città più ricca d’Europa. La richiesta di quadri era notevole. Accanto a lavorazioni piuttosto rapide, troviamo momenti di rallentamento, se non proprio resistenze. A volte Bellini non era veloce. Pensiamo ad esempio ai ritardi maturati rispetto alle richieste di Isabella d’Este. Bellini voleva soprattutto creare in autonomia.

UN VIAGGIO TRA I QUADRI DI GIOVANNI BELLINI, DETTO GIAMBELLINO (GIOAN-BELLINO)

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