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Come dipingeva il bergamasco Peterzano, il maestro del Caravaggio




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Più noto come maestro di Caravaggio, che come co-protagonista del secondo Manierismo milanese, Simone Peterzano (Bergamo 1535 ca. – Milano, 1599) è stato un pittore di estremo eclettismo e di ottime capacità tecniche, in grado di mutare stile con grande rapidità per assecondare i gusti dei committenti, in un periodo di intensi cambiamenti come quelli della seconda metà del Cinquecento. Bergamasco – quindi cittadino della Serenissima – Peterzano aveva frequentato, negli anni della gioventù, l’ambiente veneziano, entrando in contatto con artisti della cerchia di Tiziano e, al tempo stesso con la pittura toscana, importata nella laguna da Salviati e da Porta Salviati. Questo avvicinamento, non trascurabile, al mondo toscano – e in particolare alla maniera del Bronzino – può spiegare la grande attenzione agli aspetti disegnativi, che mancava ai maestri d’area veneto – lombarda e la rapida virata nei confronti del presepismo pittorico del grande architetto Pellegrino Tibaldi, pittore e progettista che godeva altissima considerazione da parte di Carlo Borromeo Nel corso di questo studio abbiamo evidenziato, tra l’altro, una derivazione inedita di un’opera di Peterzano dal Bronzino ( in alto)
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Partendo da Venezia, affollata da temibili concorrenti, come Veronese e Tintoretto, Simone approdò a Milano, città in cui il rinnovamento delle arti si manifestava più lento rispetto ad altri centri italiani, a causa del perdurante, forte imprinting leonardesco e dall’imprecisa definizione, in termini stilistici, del rigorismo di San Carlo Borromeo. Per sottolineare le novità internazionali portate con sé, Peterzano, si definì allievo di Tiziano. In questo modo, ottenne più facilmente committenze pubbliche. La sua tavolozza, inizialmente veneta, trovò applicazione nella controfacciata della Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore (1573) e nei quadri di San Barnaba, dipinti nello stesso anno. Al primo periodo dell’attività milanese vanno forse ascritti anche due dipinti di soggetto profano, Medoro e Angelica, e Venere e Cupido con due satiri. A dimostrazione del suo procedere discontinuo, pur a fronte – soprattutto – di una tecnica disegnativa eccellente, resta la sua capacità, tipicamente manierista, di cogliere le ispirazioni più alte degli altri maestri a lui contemporanei trasferendole, a volte senza sostanziali mutamenti, nel suo lessico pittorico
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La vicinanza a Porta Salviati e alla scuola toscana, gli permise di abbandonare senza alcun indugio la tavolozza veneta per convergere sul manierismo di Pellegrino Tibaldi, che usciva da un confronto con i grandi dipinti romani di Raffaello e soprattutto dell’allievo Perin del Vaga.
Fu così che la sensualità insita nel suo iniziale venetismo venne conchiusa da una colata di gesso multicolore, in una visione della pittura che rievocava i colori antinaturali e le statuine dei presepi, che incontravano il gusto di Tibaldi.
Tra il 1578 e il 1582 Peterzano eseguì gli affreschi del presbiterio e del coro della Certosa di Garegnano, dal cromatismo acceso e innaturale, in cui riemergono, attraverso la mediazione intellettuale di Tibaldi, il ricordo di Melozzo da Forlì (per quanto riguarda la vòlta degli angeli), del citato Perin del Vaga e dei toscani (Salviati, Porta Salviati, Bronzino). Tra le sue ultime opere, caratterizzate da una fredda ed ascetica monumentalità, si segnalano le Storie di Sant’Antonio di Padova ad affresco, per la chiesa milanese di Sant’Angelo, la pala con la Madonna col Bambino tra i santi Benedetto, Mauro, Giustina e Caterina nella parrocchiale di S. Maurizio a Bioggio (Canton Ticino) e la pala con Sant’Ambrogio tra i Santi Gervasio e Protasio (1592), alla quale, come dimostreremo, forse collaborò lo stesso Caravaggio, con una virata in direzione della pittura bresciana e bergamasca

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