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Estro e avarizia. Michelangelo realizzava l'opera e raddoppiava il prezzo. Il caso del tondo Doni




Michelangelo Buonarroti, “Sacra Famiglia con san Giovannino (Tondo Doni)”, 1504

di Enrico Giustacchini
UN QUADRO IN 30 RIGHE
Primato del disegno o primato dei volumi? Dilemma-chiave in pittura. Eppure, c’è chi lo ha risolto quando non aveva ancora compiuto i trent’anni. Si chiamava Michelangelo. Ne ha ventotto, di anni, il Buonarroti, quando un tessitore arricchito fiorentino, Angelo Doni, decide di migliorare il suo status symbol acquistando opere d’arte. E commissiona proprio all’astro emergente di Caprese un tondo con una “Sacra Famiglia” (commissionerà pure, e nello stesso periodo, a Raffaello il ritratto della moglie, oggi a Palazzo Pitti). La storia (o la leggenda?) narra di un Doni tanto avaro a dispetto del nome da rimangiarsi la parola a proposito del compenso pattuito: “Sarà pure bello questo dipinto, ma 70 ducati sono un’esagerazione, facciamo 40 e non se ne parli più”.
Ci si immagini la reazione di Michelangelo, uno a cui, come si sa, la mosca saltava al naso facilmente. “Se le cose stanno così, io rilancio e raddoppio: non più 70 ducati, ora ne voglio 140, altrimenti il tondo se ne torna in bottega”. E il micragnoso tessitore costretto, onde evitare scorno e scandalo, a far buon viso a cattivo gioco, sborsando sull’unghia, e chissà con quale rincrescimento, tutti quei pezzi di buon oro. Storia o leggenda che sia, certo è che a finire a casa Doni fu uno dei massimi capolavori del tempo, e dei tempi a venire. Il Buonarroti sciolse da par suo, come si accennava, i dubbi sulla superiorità del disegno o dei volumi in pittura. Perché in questa tavola sia l’uno che gli altri sono sublimi, e gareggiano tra loro in virtuosismo, nello strabiliante intreccio di membra e di increspature. E che dire dell’inarrivabile sapienza della doppia prospettiva (quella del gruppo in primo piano, quella delle figure e del paesaggio sullo sfondo)? Consolati, mastro Angelo, hai ben speso infine i tuoi ducati.