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Fotografia: i ritratti di scrittori e pittori firmati monsieur Nadar



di Alberto Albertini

Intellettuale eclettico, fotografo dalle grandi capacità introspettive – e basterà ricordare il ritratto di Baudelaire, dotato di un’intensità che fa emergere tutto il retroterra poetico dell’effigiato -, tecnico di fama nella Parigi della seconda metà dell’Ottocento, amico e promotore di artisti che, com’è ben noto, utilizzarono il suo ampio studio per la prima mostra impressionista, Nadar fu una figura attraverso la quale transitò la febbricitante luce del moderno.

Ed ora tante immagini di quegli anni, recuperate dalla casa editrice Abscondita, sono offerte in un libro raffinato, essenziale e intenso (Félix Nadar, Ritratti, traduzione di Stefano Santuari, con uno scritto di Lamberto Vitali, 79 pagine, 11 euro).

Gli scatti che Gaspard-Félix Tournachon, noto come Nadar, dedicò alla figura umana e soprattutto ai volti sono veri e propri quadri, fosse solo per la forza espressiva e la tensione che quella straordinaria novità storica caricò nei volti ammaliati e nell’occhio di chi cercava di sottrarli all’oblio; una tecnologia che divideva le opinioni tra chi la credeva destinata a sostituire la pittura e trasformare le antiche arti in un infantile tentativo di imitazione della natura, e chi la disprezzava definendola un’industria degna della folla idolatra, perché illudeva che un risultato identico alla natura potesse diventare arte assoluta.

Tournachon fotografato da Nadar
Tournachon fotografato da Nadar

Doré fotografato da Nadar
Doré fotografato da Nadar

Il libro edito da Abscondita pubblica innanzitutto un breve testo-testamento-manuale di Nadar, e poi alcuni dei ritratti scattati a personaggi famosi dal giornalista, caricaturista e scrittore francese, un personaggio di ingegno multiforme che si dedicò alla fotografia già dal 1853 e, oltre ad immortalare quasi tutte le personalità e la boheme parigina soprattutto nel periodo che va dal 1854 al 1870, fu una sorta di pioniere.
Ad esempio, una delle sue più strabilianti imprese fu quella, nel 1858, di fotografare per primo da un aerostato. Costruì infatti un enorme pallone ad aria calda battezzato Le Géant (Il gigante), ispirando così l’amico Jules Verne a scrivere il romanzo Cinque settimane in pallone e a ideare Michel Ardan, protagonista di Dalla Terra alla Luna. Il fallimento del Géant lo convinse che il futuro dell’aeronautica sarebbe appartenuto ai mezzi più pesanti dell’aria; così istituì un’associazione per la loro promozione nella quale rivestiva la carica di presidente, mentre Verne era il segretario.
Manet fotografato da Nadar
Manet fotografato da Nadar

Nadar fu anche tra i primi ad utilizzare la luce artificiale per le fotografie; a lui si deve il primo “scatto” sotto terra, nelle catacombe di Parigi.
Fu proprio per questa estesa sensibilità che nel suo studio, come dicevamo, i pittori impressionisti tennero nel 1874 la loro esposizione inaugurale. E forse non a caso. La nascita della fotografia segnò una svolta nell’arte, che trasformò se stessa per privilegiare la soggettività, esaltare l’incompletezza e l’interpretazione: una pittura che, da allora, cercò di cogliere l’istante fuggitivo e che contemporaneamente esplorava altri approcci tecnici – prima nemmeno immaginabili -, mentre era diventato ormai inutile competere con il realismo della fotografia. La mostra del 1874 era infatti una dichiarazione indiretta della contiguità e della non sovrapponibilità delle due arti, che, pur guardandosi, avrebbero – come poi sarebbe successo – percorso strade diverse.


Gli artisti smisero di ritrarsi in personaggi minori ma emblematici, in comparse solo apparentemente marginali dei loro quadri; gli autoritratti si caricarono di un nuovo significato, divenendo momenti chiave dell’evoluzione nel corso dei quali i pittori guardavano oltre, dentro di sé, oppure si scomponevano, si trasfiguravano, sperimentavano metamorfosi che spiegassero molto più che lo scatto di una fotografia.
Daubigny immortalato dal celebre fotografo
Daubigny immortalato dal celebre fotografo

Il breve scritto introduttivo è tratto da Quando ero fotografo, pubblicato integralmente sempre da Abscondita nel 2004: un libro datato 1900, anno emblematico, un concentrato di istruzioni per la vita, di riflessioni filosofiche e psicologiche che mettono in luce “l’egoismo feroce”, la civetteria e la vanità dei clienti, la “fatuità” degli uomini, ancora di più se religiosi, la loro ritrosia verso un’immagine che ogni volta non sembra riprodurre fedelmente il loro fascino e la loro bellezza, fino al culmine di riconoscersi nella fotografia di un altro piuttosto che nella propria. Ma emerge da quelle pagine anche la maniacale attenzione alle sfumature, ai dettagli, fosse solo un capello fuori posto che non fa chiudere occhio per l’intera notte a un uomo che accorre all’alba supplicando un ritocco. Mentre c’è chi crede che basti pagare, e poi fuggire subito, per ricevere il giorno successivo un ritratto, quasi che la fotografia sia l’intrappolamento di un istante, pratica invisibile e magica che si compie a insaputa del destinatario.
Nadar suggerisce addirittura le regole per un’onesta attività: “Non producete nulla – scrive – che non possa sfidare la critica di un avversario. Preferire l’onore al profitto è il mezzo più sicuro per ottenere il profitto con onore”, e al riguardo cita un episodio curioso con un cliente inglese, insiste sull’etica del professionista, perché con quel potente strumento tra le mani egli si sentiva sinceramente chiamato ad una missione. Nel suo caso, infatti, non vale la spregiativa definizione di Baudelaire, che considera la fotografia “il rifugio di tutti i pittori mancati mal dotati o troppo pigri per completare i loro studi”.
Corot fotografato da Nadar
Corot fotografato da Nadar

Tra l’altro, di Nadar si ricordano soprattutto proprio i ritratti di Baudelaire, eseguiti tra il 1855 ed il 1858 nel corso di almeno tre sedute di posa. La prima seduta, con ogni probabilità, rappresenta anche il più enigmatico dei ritratti conosciuti del poeta, raffigurato mentre è in preda ad un sogno ad occhi aperti, lo sguardo perso, come se fosse altrove. Nadar e Baudelaire, che si conoscevano già da una quindicina di anni, rimarranno poi uniti fino alla scomparsa del secondo: un’amicizia che il fotografo descrive in un’opera postuma pubblicata nel 1911 e intitolata Charles Baudelaire intimo: il poeta vergine. Baudelaire posava d’altronde, per l’ultima volta, nel 1862 davanti all’obiettivo di Nadar mentre Manet traduceva una delle copie allora ottenute in una famosa incisione il cui multiplo è oggi molto ricercato dai collezionisti.
Ma nello studio di Nadar passarono in tanti, avidi di un’immagine: soprattutto pittori, tra i quali Manet, Doré, Delacroix, Millet, Corot, Courbet, Daubigny, Daumier, ma anche Dumas, George Sand, Verne, Rossini, Liszt.
Millet fotografato da Nadar
Millet fotografato da Nadar

Dei ritratti selezionati per questa edizione ciò che più colpisce è la serie dedicata al fisico Michel Eugéne Chevreul – un mito per gli impressionisti e soprattutto per i neoimpressionisti che cercavano, basandosi sui suoi studi, la vibrazione cromatica – in occasione del centesimo compleanno. Nel 1886 Nadar lo intervista scattandogli ventisette fotografie, ognuna accompagnata dalla didascalia in cui figurano le risposte dello scienziato; una foto-intervista molto originale, un’idea per i media contemporanei. Le espressioni di Chevreul rafforzano le sue parole. Sembra di vederlo discorrere, e nel ricordo postumo, chi legge immaginerà di averlo avuto davvero di fronte a sé.