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Leonardo, gli occhi che parlano. I visi che comunicano. Cosa sono i moti dell’anima e chi li ha inventati



leonardo

La rappresentazione artistica del carattere e delle inclinazioni dell’anima erano considerate fondamentali dagli antichi Romani. Un personaggio, come accade nella statuaria, doveva immediatamente rivelare il proprio carattere allo spettatore. Ma per gli antichi era soprattutto una questione legata alle grandi definizioni della personalità: coraggioso, eroico, pavido, mite, perspicace, nobile, caritatevole ecc.

Si trattava di inserire il ritratto – a noi restano, purtroppo, quasi totalmente ritratti scultorei, se escludiamo pochi volti autentici dipinti e i dipinti da cavalletto, così intensi e vibratili, della necropoli di Al Fayyum – in una cornice di definizione. Anche i macro sentimenti – la paura, l’orrore, la rabbia – dovevano apparire nei gruppi scultorei, come avvenne, perfettamente, nel modello greco del Laocoonte. La necessità, indicata da Leon Battista Alberti nel periodo rinascimentali, era quella di avvertire i pittori di porsi, anche in questo campo, al livello degli antichi, delineando nei volti di personaggi mitici o degli uomini contemporanei, i moti dell’anima, secondo un concetto ripreso da Vitruvio.

I moti non sono soltanto i tratti fondamentali di un carattere, ma le risposte espressive del corpo all’attività della psiche. Con la locuzione “moti dell’anima” Leonardo intendeva ciò che noi chiamiamo – con un sostantivo dotato di minor incisività – espressioni, cioè la trasposizione, sul soma, dei pensieri e dei sentimenti, nonchè delle inclinazioni psicologiche e caratteriali del soggetto (fisiognomica) in grado di modificare e plasmare un volto. I moti dell’anima e le espressioni inducono anche noi stessi a leggere, nel viso di chi abbiamo avanti, la trasparenza o l’ambiguità, l’inclinazione all’onestà o alla disonestà, almeno in quel momento. Due pittori, in quell’epoca, andarono oltre le indicazioni degli antichi – peraltro già Giotto e i giotteschi, in ragione di un’inclinazione realistica, mossero e colsero le espressioni dei visi, anche se in modo ancora arcaico – cercando di cogliere, tra i moti dell’anima,anche dettagli all’apparenza trascurabili, quelli più sottili, legati alla psicologia o alla psicologia del profondo. Furono Antonello da Messina – che viene poco citato in questo ambito, ma fu un pittore di introspettive finissime – e Leonardo da Vinci. Ecco, allora, nascere la donna e l’uomo della modernità, che non sono più classificabili, soltanto, nelle macro-categorie dei caratteri psicologici maggiori, ma vengono letti, uno ad uno, come persone uniche. Una rivoluzione davvero straordinaria, che sta alla base della modernità e alla progressiva valorizzazione dell’individuo che diviene, sacralmente, persona: simile agli altri, ma irripetibile. (mbc)

Perché Leonardo è importante per il ritratto?
Leonardo ha inventato il ritratto moderno proprio a Milano, con la serie di raffigurazioni di personaggi della corte sforzesca, partendo dal “Musico”, passando attraverso la “Belle Ferroniére” per giungere alla “Dama con l’ermellino”, dove sono stati rappresentati, per la prima volta, i moti dell’animo. – dice Pietro Cesare Marani, studioso di Leonardo e presidente della Raccolta Vinciana al Castello Sforzesco di Milano – .E’ un ritratto che risponde alle teorie artistiche messe a punto da Leonardo negli anni Novanta del Quattrocento, secondo le quali, attraverso i gesti, il movimento e le attitudini, il personaggio dichiara i suoi “moti mentali”. Quindi non si tratta ancora di un approfondimento in senso psicologico, ma di una estrinsecazione attraverso le attitudini e i gesti di quelli che sono, appunto, i moti dell’animo.

Che caratteristiche aveva il ritratto nella cultura umanistica prima della “rivoluzione” leonardesca?
A Firenze il ritratto nella prima metà del Quattrocento è ancora fortemente celebrativo, dinastico, non ha intendimenti soggettivi e non rispecchia in nessun caso i moti della mente del personaggio raffigurato; lo scopo è di mostrare attraverso di esso simbologie politiche o ideologiche o comunque collegate con la classe sociale, il ruolo di chi lo commissiona. Dal punto di vista iconografico si tratta molto spesso di un ritratto di profilo, molto simile a quello che compare sulle medaglie. La novità di Leonardo è nella volontà di creare un ritratto “di naturale”, come viene definito quando, nel celebre paragone fatto dalla marchesa di Mantova, se ne confrontano uno dipinto da Leonardo ed uno di Giovanni Bellini. E’ la “Dama con l’ermellino” ad essere giudicato ritratto rispondente all’aspetto naturale, così come si presenta e come si muove nello spazio, non “in posa”.

Chi raccoglie l’eredità del ritratto naturale, avviandosi a una rappresentazione psicologica del personaggio?
A prescindere dai seguaci lombardi – più cristallizzati nelle tipologie leonardesche, ma che non sempre riescono a cogliere la naturalezza -, l’eredità del genio di Vinci si sviluppa nell’area lombardo-veneta. Partendo dai discepoli – pensiamo a Solario – e soprattutto con Lorenzo Lotto, come giustamente ha indicato Flavio Caroli, il ritratto acquista una introspezione psicologica, che è il dato della modernità. Naturalmente in seguito maestri quali Raffaello, Giorgione, Tiziano, Tintoretto non tornarono più indietro, e condussero il genere alle massime potenzialità espressive.solo pittore. C’è una divisione del sapere.