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PISANELLO, Sant’Antonio e San Giorgio, 1445 circa, tempera su tavola, 47×29 cm, Londra, National Gallery, Londra. Il quadro mette in relazione convergente i due santi. Antonio protegge la campagna e gli animali ed è il santo dei poveri. Giorgio, invece, protegge nuclei urbani, castelli, cavalieri e nobiltà
Entrambi, grazie all’intercessione della Madonna e di Cristo, aiutano l’umanità. In Pisanello emerge, anche da altri dipinti, la vagheggiata unità politica dei ricchi e dei ceti meno abbienti, come in San Giorgio e la Principessa

ALESSANDRO BONVICINO DETTO IL MORETTO, Sant’Antonio Abate, 1530-1534, Olio su tela, 297×148 cm., Auro, frazione di Casto (Bs), Santuario della Madonna della Neve.Il quadro mette in relazione il fuoco di Sant’Antonio, che al tempo stesso è malattia, punizione, dominio degli inferi da parte del Bene e quasi un fulmine nelle mani di Giove, con il maiale. Con il grasso dei suini si curavano le lesioni di un’ampia gamma di malattie della pelle, che prendevano estensivamente il nome di Fuoco di Sant’Antonio. Le carni di questi animali, allevati dagli Antoniani – monaci che si ispiravano alla regola del grande eremita – rinvigorivano i pazienti, con una dieta ricca, che contribuiva a una guarigione più rapida. Moretto, grandissimo pittore, qui interpreta la figura di Sant’Antonio con una capacità espressiva e tecnica notevolissima. Il Santo sembra sostituire lo stesso Dio, che sferza la cristianità, malata nel cuore, attraverso la frusta di fuoco della malattia. Le fiamme dell’inferno segnano la vita di Sant’Antonio Abate, che fu ripetutamente tentato dal demonio
Sant’ Antonio abate, detto anche sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto, sant’Antonio l’Anacoreta (Qumans, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma la Chiesa copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde, nel loro calendario, al 22 del mese di Tuba.
di Claudia Ghiraldello
L’iconografia di sant’Antonio abate prevede, ai piedi del monaco, la presenza di un suino, spesso della razza Cinta Senese. Tale elemento iconografico, che è il secondo apparso in ordine di tempo dopo il bordone di eremita e che venne seguito dal campanello e dalla fiamma, ricorda il privilegio del 1095 in base al quale i discepoli del santo potevano ricavare lardo dai maiali, lardo da usarsi, unito ad erbe officinali, come rimedio contro il cosiddetto “fuoco di sant’Antonio”.
Antonio, infatti, fu venerato quale protettore da questa malattia da quando, durante la traslazione delle sue reliquie da Costantinopoli in Europa, si verificarono in Francia numerose guarigioni. Secondo una tradizione popolare, il maiale raffigurato accanto al monaco rappresenta il diavolo che, sconfitto da lui, fu condannato da Dio a seguirlo sotto tali spoglie; secondo altre, invece, l’animale ricorderebbe la guarigione di un maiale malato operata dal santo, santo invocato anche contro la peste e lo scorbuto.
Da ulteriori ricerche, tuttavia, risulta che la protezione esercitata dal nostro monaco non sarebbe stata relativa al semplice herpes zoster (il “fuoco di sant’Antonio” sopracitato), bensì all’ergotismo canceroso, affezione assai più pericolosa, causata dall’avvelenamento da parte di un fungo della segale mal conservata o deteriorata. Il morbo provocava piaghe e cancrene repellenti con crisi di convulsioni e demenza, e se si pensa che la segale era alla base dell’alimentazione della gente comune del passato, va da sé dedurre che tale malattia dovesse essere diffusa e di terribile impatto fisico e psicologico. Fu curata per tutto il Medioevo proprio e specialmente dall’ordine ospedaliero-ospitaliero degli Antoniani, riconosciuto da Bonifacio VIII nel 1297, ma attivo nel Delfinato già dall’XI secolo.
All’iconografia antoniana si riferisce pure il campanello, il quale, molto spesso, è attaccato al bastone del santo, forse a ricordo del tinnio dei sonagli che da lontano annunciavano l’arrivo dei questuanti dell’Ordine.
A proposito del bordone, va detto altresì che la sua forma a Tau rimanda al simbolo egiziano di resurrezione e, parimenti, alla raffigurazione della croce di Cristo; inoltre, con la croce a Tau si identificava il segno che gli Ebrei posero sugli stipiti delle porte prima dell’esodo dall’Egitto e il palo su cui Mosè collocò il serpente di bronzo per preservare il popolo d’Israele dal morso dei rettili velenosi del deserto. Simbolo di predestinazione divina, nella foggia rammenta anche il martello di Thor, caro ai Germani.
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